Tesi di prevenzione I

Va-t’en,qui que tu sois;

ne me prends pas par les épaules

Isidore Ducasse conte di Lautreamont

I canti di Maldoror

 

Queste tesi sulla prevenzione si sono trasformate in uno scritto grazie ad un processo di catalizzazione e precipitazione d’immagini, emozioni, storie vissute, attraversamenti e contaminazioni multiple. E’, come sempre, l’immaginario ad essere in questione: l’immagine del liceo di Colombine che troviamo in Elefant di Gus Van Sant. Quelle traiettorie in un acceleratore di particelle vitali ci mostrano, nella microfisica elementare, la mutazione antropologica caratterizzata dai significati immaginari sociali della società che si sta istituendo nella contemporaneità. Una società in cui la dimensione individuale assoluta è un significato immaginario sociale centrale. Proviamo dunque a chiarire questo primo passaggio.

La vita quotidiana

La nostra vita quotidiana ci si presenta come naturale e tendenzialmente separata dal piano storico sociale dei “grandi avvenimenti”. Nella vita quotidiana tutto scorre secondo un ritmo lento, ripetitivo o routinario, funzioni elementari, abitudini, credenze. Per la vita quotidiana c’è anche un abito mentale, uno stato di coscienza ordinario.

Anche questo stato di coscienza ha le sue colonne d’Ercole: la sera prima di addormentarsi quando il mondo che ci circonda si sfarina in una molteplicità di istanti totalmente incompatibili fra loro quando, come ci dice Proust, siamo sulla poltrona di casa e contemporaneamente nella casa della zia di fronte a quel vecchio quadro che ci fa tanta paura per questo fuggiamo accalorati dal cane nero che ci insegue mentre la nostra mano è toccata dalla fiamma del camino in cui stiamo mettendo un pezzo di legno perché il fuoco va alimentato.

Ma, queste dissociazioni, queste nuance dell’io, non sono solamente crepuscolari, appartengono ad una quantità di istanti in cui il piano di coscienza ordinario incontra dei varchi inattesi dove si rende evidente un’alterità. Alcuni di questi varchi: lapsus, dimenticanze, sbadataggini, atti mancati sono stati studiati da Sigmund Freud che li ha definiti come “piccole perturbazioni funzionali della vita quotidiana”, crepe da cui emerge l’inconscio.

Lasciamo per ora questa alterità e ritorniamo alla vita quotidiana e alla sua coscienza, pensiamo a quella coscienza o questa, se volete, e dunque anche ai significati che la sorreggono. Questa coscienza, un po’ come un edificio, si fonda su significati condivisi. Qui sorge un primo problema che sarà oggetto della nostra discussione. Se dobbiamo parlare di significati condivisi dobbiamo mettere in questione la naturalità della coscienza “ordinaria” perché, se i significati fossero evidenti, non sarebbe necessario introdurre la condivisione invece, aimè, un significato non è evidente, ha una relazione con una cosa e questa cosa non è immediatamente significativa per tutti e ovunque. Dunque la cosa può avere o non avere un significato o meglio può avere un significato ma anche un altro.

Ricordate lo zio matto in Amarcord? Per lui i sassi erano significativi e li teneva in tasca, per gli altri non avevano alcun significato anzi lo zio, con quella sua mania di dare significato a cose che non l’avevano diventava pure lui una “cosa significativa” diventava “il matto”. Cioè chi non condivide il significato delle cose, di alcune o molte. Il matto, così, è chi per un motivo o per l’altro non condividendo il significato delle cose fuoriesce dallo stato di coscienza quotidiano.

Il logocentrismo

Torniamo ancora a questo punto di analisi per cominciare a distinguere fra cose e parole e dunque anche fra il mondo delle cose, la dove le cose hanno significato in se e per se, e il mondo delle parole che si riferiscono alle cose. Questo mondo, il mondo delle parole, è stato spesso identificato come il mondo specifico dell’essere umano, come se l’essere umano si riducesse al mondo delle parole, come se la parola fosse l’essenziale dell’umano. Di qui la critica al logocentrismo che fa Jaques Derrida. Non sono le parole a fare gli uomini ma gli uomini a fare le parole. Il linguaggio parlato è solamente una delle innumerevoli forme della comunicazione, non c’è nessuna struttura originaria della lingua, il linguaggio parlato non è il codice dei codici di qualsiasi comunicazione. Smettiamo di attardarci su questa illusione.

Eppure la coscienza quotidiana è dominata da questo significato immaginario sociale: il linguaggio, la parola è l’essenza dell’essere umano l’uomo è l’animale parlante. E il muto? E’ un uomo difettoso, un minorato. Ma se ci fosse una mutazione e la comunicazione avvenisse con gli odori? Non ci sarebbero più uomini? Questa concezione logocentrica provoca problemi nella vita quotidiana, non si può più sostenere un’antropologia che ha come significato immaginario sociale centrale la parola, la coscienza che si basa su questo pilastro è circoscritta e limitata ed il suo dominio impedisce l’accesso ad altri stati di coscienza che comunicano con forme differenti dalla parola. Insomma, da questo punto di vista il logocentrismo è un handicap, un ostacolo all’allargamento dell’area della coscienza.

Ma torniamo per un momento al mondo logocentrico: questo mondo ci si presenta come l’universo tolemaico, un mondo che ha il suo centro nella terra e non nel sole. Come i pianeti giravano attorno alla terra costituendo i diversi cieli fino al cielo delle stelle fisse e tutti questi cieli si muovevano ed erano mossi

Sì come rota ch’egualmente è mossa

(Dante Paradiso canto XXXIII)

Nel mondo della parola tutti i significati girano attorno alla centralità del logos come se il logos avesse un fondamento metafisico a priori, a prescindere dalle condizioni di esistenza nel mondo. Il logos è il linguaggio parlato, non è il monolite di 2001 Odissea nello spazio di Kubrik. E’ una forma di comunicazione, non La comunicazione per eccellenza. Quanta comunicazione c’è in uno sguardo, in una carezza,in un odore,in un sapore? Questo non significa che non si comunichi con le parole ma che le parole sono un caso, un aspetto particolare, della comunicazione non il centro.

I significali sociali immaginari

Se spingiamo la nostra analisi in questa direzione possiamo scoprire che le diverse società umane, non so per le società che siamo abituati a definire animali,si istituiscono come sostiene Cornelius Castoriadis instaurando significati sociali immaginari. Non con il logos ma con il mytos. Perché immaginari? Perché la relazione che si instaura con una cosa ed una parola non è data, non è a priori “in mente dei”. Questa relazione è un atto creativo è una produzione: una poiesis. Anche Giovan Battista Vico parlava di momento poetico per l’istituzione di significati sociali e ci diceva che “La sapienza poetica, che fu la prima sapienza della gentilità,dovette incominciare da una metafisica,non ragionata ed astratta qual è questa or degli addottrinati,ma sentita ed immaginata quale dovett’essere di tali primi uomini,siccome quelli ch’erano di niuno raziocinio e tutti robusti sensi e vigorosissime fantasie…”(G. B. Vico Della Metafisica Poetica paragrafo 1)

La citazione di Vico ci permette di introdurre l’immaginazione cioè la facoltà di creare cose, facoltà che gli antichi chiamavano anche fantasia. Questa facoltà produce immagini anche senza nessun riferimento a cose, non è legata alla raffigurazione o alla rappresentazione della realtà può utilizzare elementi provenienti dalla sensazione e dalla percezione ma e qui è il punto importante può produrre immagini attingendo esclusivamente a se : “alla stessa materia di cui sono fatti i sogni”. (Shakespeare: La tempesta)

L’immaginario è una continua produzione desiderante e non ha nulla a che fare con l’immagine speculare di cui parla Jaques Lacan quando si riferisce allo stadio dello specchio, cioè al momento in cui il bambino si riconosce nella propria immagine riflessa.

L’immaginario non è quell’io colto nello specchio, non è un’alienazione, non ha nulla a che fare con l’io, la produzione dell’immagine non ha nulla a che vedere con l’ottica, non obbedisce a nessuna legge anzi la legge è un’immagine, le matematiche sono immaginarie e l’infinito immaginario contiene qualsiasi infinito matematico. Le produzioni dell’immaginario sono “cose” che divengono mondi possibili, come l’alam al-mithal “Il mondo delle analogie” o l’alam al-kayal “il mondo dell’immaginazione” degli autori sufi. Sono molteplici e innumerevoli i mondi,che l’immaginario costituisce e pone come reali.

Castoriadis distingue due immaginari:

un immaginario radicale: il vulcano che erutta il “magma” di significati.

Un magma è un flusso caldo di significati non strutturati,mutevoli,è la fonte delle significazioni,da questo magma emergono le immagini, le cose che fondano significativamente l’essere sociale.

Forse Empedocle cercava questo magma tuffandosi nell’Etna.

(..) e ti getti nelle fiamme

dell’Etna con un brivido di voglia

(F.Holderlin: Empedocle)

Da questo immaginario magmatico, per precipitazione, derivano i significati immaginari sociali che istituiscono una data società. Questo è l’immaginario sociale, un’epifania dell’immaginario radicale, una cristallizzazione di alcuni significati del magma.

L’immaginario sociale non può spegnere il vulcano, tuttavia i significati si raffreddano ed il flusso si divide in forme stabili permettendo la costruzione di uno storico sociale caratterizzato da istituzioni del dire: i linguaggi significativi, e da istituzioni del fare:le tecniche strumentali. L’istituzione di questi storico sociali è la condizione per l’istituzione dei soggetti che abitano questi storico sociali determinati.

Il soggetto, i soggetti sono fabbricati, come le armi, nell’officina di Efesto che forgia le catene significati legandole ai significati immaginari sociali centrali per quello storico sociale determinato.

Dunque l’immaginario sociale è storicamente determinato e si definisce attorno a significati centrali. I soggetti che abitano quello storicosociale sono fabbricati dalla trama di significati immaginari centrali e si relazionano fra loro tramite un certo logos e una certa tecne.

Il codice semiotico

Come un brogliaccio assegna le parti nella commedia dell’arte così i significati immaginari centrali producono i ruoli e le funzioni di uno storico sociale, di quello storico sociale ma anche di questo storico sociale che stiamo vivendo.

I significati immaginari non sono legati a nessun referente, non c’è nessun “oggetto reale” che dovrebbe riferirsi a significati come Dio, bene,ecc. Ogni storico sociale declina questi ed altri significati immaginari secondo un proprio codice.

Sulla base di questo codice si realizza una certa semiotica cioè un legame sensato fra segni e significati, posto che esista fra il segno e l’oggetto dinamico una relazione, che C. S. Peirce definisce, di tipo indicale, iconico e simbolico.

L’indice indica l’oggetto cui si riferisce, l’icona ha un rapporto di somiglianza,mentre il simbolo ha una relazione arbitraria. I significanti immaginari sociali sono o meglio possono essere, interpretazioni di un interpretante in una certa semiosi. Per Peirce la semiosi è illimitata, cioè non vi è un termine certo e definitivo alla produzione di significati, l’interpretante a sua volta diventerà segno di un nuovo interpretante e così via attorno all’oggetto dinamico in una continua produzione di significati.

Si può dire che una certa semiosi ritaglia una modo di interpretazione di significati e che quel modo è un codice che permette il funzionamento sensato delle relazioni sociali. Esemplificando ulteriormente: un codice semiotico permette la comprensione fra i soggetti che utilizzano quel codice. In senso stretto un codice linguistico permette la comprensione degli enunciati agli utenti che lo conoscono e che sono definiti come emittenti o riceventi dei messaggi. Il codice è sempre performativo perché modella secondo i canali predefiniti l’emittente e il ricevente.

Cioè le funzioni di questi soggetti: il soggetto che emette enunciati ed il soggetto che riceve gli enunciati sono costruiti, fabbricati o meglio istituiti dal codice che si sta utilizzando, se questi soggetti non rispettano le condizioni di uso,cioè non si adeguano all’ordine performativo, non possono comunicare o comunicano in modo difettoso. Naturalmente secondo il codice che utilizzano o vorrebbero utilizzare: Il codice istituito della semiosi istituita.

Comincia ad apparire chiaro che istituire una certa semiosi è una limitazione, è una codifica circoscritta delle relazioni significative fra segni e oggetti. Le cose in se e per se possono avere una relazione arbitraria con altre cose in se e per se. Ricordiamo che per Peirce un segno è un oggetto che sta al posto di un altro, “rappresenta” un altro oggetto, questa relazione arbitraria dell’”oggetto dinamico”, della “cosa in se e per se” con un’alta “cosa in se e per se”, che Peirce definisce segno è posta dall’interpretante.

E’ l’interpretante che immagina il segno, cioè istituisce, per esempio, una relazione arbitraria fra un certo volo degli uccelli e un significato. Questo significato immaginario è stato istituito nella società storicamente definita etrusca e l’interprete di quel significato immaginario sociale è un soggetto fabbricato ad hoc per quella competenza e cioè l’aruspice. Non c’è aruspice al di fuori di quel significato immaginario sociale di quello storico sociale istituito.

Stati di coscienza

Dunque, riprendiamo il nostro discorso: lo stato di coscienza ordinario si basa sulla condivisione di significati immaginari sociali che istituiscono lo “storicosociale” in cui si svolge il “dramma” della vita quotidiana. Questi significati trascendono il soggetto, perché lo fabbricano così come fabbricano gli altri soggetti come personaggi o ruoli della “commedia umana” quotidiana.

Erving Goffman termina il suo studio su “La vita quotidiana come rappresentazione” con queste interessanti considerazioni:

“In questo studio l’individuo è stato implicitamente diviso in due parti fondamentali: è stato considerato come un attore, un affaticato fabbricante di impressioni, immerso nel fin troppo umano compito di mettere in scena una rappresentazione, ed è stato considerato come un personaggio, una figura per definizione dotata di un carattere positivo,il cui spirito,forza ed altre qualità eccezionali debbono essere evocati dalla rappresentazione.

Gli attributi dell’attore e quelli di un personaggio sono di ordine diverso, e anche in modo fondamentale: comunque ambedue posseggono un significato in relazione allo spettacolo che deve continuare” (pag 288).

Questi personaggi, che gli attori rappresentano portano con se i significati immaginari che istituiscono la società storica determinata in cui si svolge quello “spettacolo che deve continuare” Ma in questa commedia umana a volte è messa in scena la totale perdita di significato:

“Hamm. Siamo noi che ringraziamo. (pausa. Clov si avvia alla porta). Ancora una cosa. (Clov si ferma). Un ultima grazia. (Clov esce) Nascondimi sotto il lenzuolo. (Lunga pausa) No? Pazienza (Pausa). Tocca a me (Pausa). La mossa. Giocare. (Pausa. Stancamente) Vecchio finale di partita persa, finito di perdere (Pausa. ecc.).”

Samuel Bekett: Finale di partita

Finisce la partita, la partita è persa.

I significati immaginari sociali si dissolvono,crollano i pilastri del cielo, i personaggi non hanno più forza, sono mutati, il corpo degli attori deve disciplinarsi a questo copione difettoso, la comunicazione è assurda. Questo mondo in disfacimento fabbrica soggetti intermittenti che colano come i ritratti di Francis Bacon, fa emergere oggetti liquidi come gli orologi di Dalì.

La vita quotidiana è attraversata da varchi imponenti che immettono in dimensioni diverse dai significati immaginari sociali che hanno fondato il secolo novecento ed hanno permesso la sua rappresentazione agli attori.

Nelle routines si è inserita una dimensione virtuale che si è caratterizzata per la materializzazione di immagini e la diffusione planetaria della sfera interconnessa dei mezzi di comunicazione di massa. Questa infosfrera raccoglie immagini in movimento. Si tratta di una mutazione importante non solo per il piano storico sociale o piano di consistenza ma anche per l’immaginario. Infatti il magma di significati dell’immaginario radicale è per così dire raffreddato da varie molteplicità di figure mobili che non sono evocate da un supporto biologico e da una narrazione analogica ma stanno li, come nuove cose in se e per se. Come manufatti che, a differenza delle immagini dipinte su un supporto materiale o di statue “estratte” dal marmo o dal travertino o da qualsiasi altro supporto, a differenza di immagini impresse su lastre dalla luce, fotografie che sembrano giustificare l’immaginario speculare lacaniano, a differenza di tutto ciò si permettono di muoversi grazie alla tecnica che permette il loro deposito in memorie magnetiche e la loro evocazione grazie a cervelli al silicio. Gli schermi, su cui si muovono e parlano queste immagini, evidenziano un mondo immaginario,di più, visualizzano questa dimensione aprendo un varco fra il piano di consistenza ed il piano immaginario.

L’ingresso nel mondo della vita quotidiana di una routine che apre un canale di comunicazione con l’immaginario istituisce un’antropologia dello storico sociale contemporaneo. Questa antropologia prevede uno stato di coscienza ipnoide all’interno della vita quotidiana, cioè, lo stato modificato di coscienza caratterizzato dalla visione del televisore in poltrona non è più tipico di una situazione spettacolare esterna e separata dalla vita quotidiana come ad esempio il cinema.

Infatti “si va” al cinema, il cinema è un edificio che contiene una sala con un grande schermo ecc ecc.. Non è possibile avere il cinema nella quotidianità, solo i regnanti o i grandi ricchi hanno una sala cinematografica per se.

Il cinema favorisce le identificazioni con le star, e per questo motivo è nato un nuovo olimpo con nuovi dei. In questo Olimpo del novecento si sono prodotte per la prima volta le “immagini in movimento” della dea della bellezza, del dio della guerra ecc. Venere, soprattutto, ma anche Marte hanno assunto il volto di attori che hanno popolato un immaginario sociale che ha travalicato i confini degli stati nazionali e ha istituito una società immaginaria con i propri miti e riti. In questa società hollywoodiana, c’è la libertà di amarsi, esiste il divorzio, l’individuo si fa da se, e così via con altri significati immaginari che sono entrati in conflitto con la dimensione quotidiana dell’essere sociale delle società istituite come stati nazionali. Lo stile di vita delle star è un modello per identificazioni molteplici, ma queste identificazioni producono anche imitazioni e desiderio di modellare il proprio corpo come la star favorita.

La società dello spettacolo

Questo processo di imitazione è molto profondo e sotto altri aspetti può ricordare le forme di possessione teatrale analizzate da antropologi come Michel Leris presso i Gondar.

Infatti i personaggi, con le loro pettinature, i vestiti, gli atteggiamenti, gli abiti nel senso che è attribuito da Peirce a questa parola, cioè modi di comportamento ripetuti fino alle posture del corpo, si impadroniscono degli “attori” che li trasportano nelle “rappresentazioni” della vita quotidiana molto spesso senza rendersene conto.

A volte gli “abiti” delle star sono oggetto di imitazione perché riproducibili in serie illimitata: per essere un po’ Humphrey Bogart bisogna bere whisky e indossare un trench per essere un po’ “vamp” bisogna avere degli atteggiamenti svaniti, pettinarsi in un certo modo, abbigliarsi in un altro e così via.

Tutti questi significati immaginari fondano una società dello spettacolo che, non è limitata dalle frontiere né dai linguaggi. L’appartenenza a questa società immaginaria è in relazione alla visione di immagini in movimento proiettate su di uno schermo in un apposito edificio. Dove si è diffusa questa tecnologia allora si sono diffusi i significati immaginari che istituiscono la società dello spettacolo.

Tutta la vita delle società nelle quali predominano le condizioni moderne di produzione si presenta come una immensa accumulazione di spettacoli. Tutto ciò che era direttamente vissuto si è allontanato in una rappresentazione.

(Guy Debord “La società dello spettacolo punto 1)

Questa società immaginaria cola nella società reale produce modifiche nelle abitudini, nei corpi e tal volta si pone in forte conflitto con i personaggi del teatro sociale che fondano od hanno fondato la vita quotidiana di quello stato determinato, di quello storico sociale circoscritto.

Un conflitto di significati immaginari molto cruento che non può che terminare con l’annientamento del significato immaginario con minore sex appeal.

Ossia, per parlare del novecento già nei primi decenni è stato evidente chi si atteggiava ancora a stellina dell’operetta e chi seguiva Francesca Bertini.

Ma ancora un secolo è stato necessario per istituire una società immaginaria diffusa su tutto il pianeta.

A questa diffusione ha contribuito in modo determinate anche la musica, e la possibilità di trasmettere e riprodurre parole,e suoni a grande distanza così come è avvenuto con la radio.

La combinazione dello starsystem del cinema con quello della musica ha prodotto un allargamento dell’olimpo mediatico. Sono entrate in campo le rockstar, da Elvis ai Beatles, il processo di imitazione è diventato pervasivo ed anche segno del tentativo di istituire una “controcultura”.

La Controcultura degli anni sessanta ha prodotto molti significati immaginari, pensiamo ai gruppi musicali ed al loro prototipo: I Beatles.

E’ interessante la proposta di un gruppo, non è un dio, ma un gruppo che funziona solo collettivamente. Questo è veramente un significato immaginario eversivo.

Altrove

Infatti la società immaginaria fondata dai gruppi controculturali che conquistano la scena degli anni 60 e 70 è una società che istituisce una frattura con le generazioni precedenti,con le altre società.

La frattura è totale soprattutto con l’ordine gerarchico, non ci sono più padri, non c’è un leader, una star, c’è un gruppo ci sono i gruppi che producono, mettono in scena la molteplicità del desiderio, per questo la linea dell’imitazione e della identificazione non viaggia solo dal mondo delle star al mondo degli esseri umani ma anche fra gli esseri umani secondo una proliferazione rizomantica che genera nuovi gruppi e nuove socialità.

Questa società immaginaria di aggruppamenti e di gruppi ha dichiarato la propria secessione dai vecchi significati immaginari dello spettacolo. La secessione si è prodotta a Woostok nel 1969, in quei “tre giorni di pace,amore e musica” i 500.000 lì convenuti hanno istituito una società immaginaria alternativa alla società dello spettacolo dominante.

Quello spazio immaginario è altrove è sempre altrove. Da qui provengono queste tesi di prevenzione. Qualsiasi enunciato,come questo che state leggendo, rimanda ad un enunciante che si definisce in relazione allo spazio immaginario in cui è prodotto. Questo significa che qualsiasi segno assume un significato in una situazione definita. Non esiste un significato assoluto a priori ma ogni significato è l’effetto di un processo di significazione.

Il processo di significazione avviene fra cose in se,segni e interpreti in situazioni definite e porta alla produzione di significati.

La definizione della situazione è l’istituzione di uno spazio determinato in cui si installano specifici significati immaginari sociali.

Per esempio il teorema di Thomas postula che “Se si definisce una situazione come reale questa diviene reale in tutte le sue conseguenze” Ciò significa ad esempio che la situazione “uccisione di un passante sul ponte” possa essere definita come:

assassinio inspiegabile, o uccisione di un nemico a seconda che la situazione sia definita “pace” o “guerra”.

Certamente se la situazione “guerra” non è istituita con tutti i suoi significati immaginari ci si può trovare nella particolare condizione di Robert De Niro in Taxi Driver o in qualsiasi altra condizione, che altri potrebbero definire come “ideazione persecutoria”, e si può intraprendere una “azione di guerra” contro i “nemici” perché la situazione “stato di guerra” non è condivisa ma è la produzione immaginaria di un singolo processo di soggettivazione. Tuttavia se qualcuno definisce per qualche ragione una situazione come reale, questa situazione,per chi ne condivide la definizione, diviene reale in tutte le sue conseguenze. Quindi se per me c’è una invasione di alieni che si sono impadroniti dall’interno degli esseri umani e li controllano senza mostrarsi con il loro vero volto, questa situazione per me sarà reale e quindi cercherò di lottare o fuggire.

Questa molteplicità degli stati di realtà viene messa in evidenza dall’analisi di A. Schutz che descrive la presenza simultanea di una moltitudine di mondi della vita quotidiana in cui valgono differenti province di significato, per esempio il mondo di Don Chisciotte è un mondo in cui i mulini a vento sono giganti,così il cavaliere dalla trista figura parte,lancia in resta, contro i suoi nemici.

La consistenza del muro contro cui l’Hidalgo impatta sembrerebbe l’irruzione della Realtà nel suo mondo, è il senso comune che dice: “lasciargli sbattere la testa contro il muro, poi si renderà conto di qual è la realtà”.

Ma l’immaginazione si riprende dallo stordimento e ipotizza una spiegazione della dura evidenza sperimentale: è stato il Mago,il nemico di Don Chisciotte,a trasformare i giganti in mulini, così i significati immaginari del mondo cavalleresco rimangono intatti e la situazione riceve sempre la definizione di “avventura cavalleresca” e non di “ insanità mentale”.

“Nulla si sa tutto si immagina” dice un personaggio nell’ultimo film di Fellini: La voce della luna”

Quindi è fondamentale chiarire o definire lo spazio da cui si interviene.

La nozione di intervento ci immette nel campo della prassi, ma come abbiamo detto per noi la prassi non è priva di teoria, non è una azione a se stante: un “atto puro”

Tutt’altro, la prassi è carica di teoria che a sua volta è una forma dell’immaginazione, è dunque l’immaginazione creatrice a costruire schemi di riferimento per la prassi della vita quotidiana.

Schemi di riferimento concettuali e operativi

Ed è a questi schemi di riferimento che va diretto l’intervento di prevenzione: la prassi operativa.

In primo luogo,dunque, sta la collocazione in un altrove.

Questo spazio è abitato dall’immaginazione radicale che istituisce la gruppalità come significato immaginario sociale.

Va da se, dunque, che questa istituzione immaginaria della società è radicalmente opposta a quella da cui siamo partiti in queste tesi, che è mostrata in modo tragico nel film di Gus van Sant.

Qui è mostrata l’istituzione immaginaria della società dell’individuo assoluto.

Questo immaginario è messo in scena nel liceo di Colombine:

gli individui compaiono sullo schermo, preceduti da un nome,poi seguono delle traiettorie, come degli elettroni direbbe Mario Pollo, la loro “libertà” li porta, in quell’acceleratore di particelle elementari, a scontrarsi con altri individui, parcellizzati.

Non sono le monadi di Leibniz, senza porte né finestre, sono solo parti, particelle imprevedibili nelle loro traiettoria,accelerate da una istituzione,”Il liceo”, quella si, molto prevedibile.

In quella scuola i percorsi sono individuali, vi sono solo alcuni raggruppamenti: le tre ragazze che vomitano il cibo della mensa nel bagno scolastico, qualche coppia, poi la discussione guidata sulla omosessualità e finalmente l’unica lezione, di fisica atomica.

E proprio in quella lezione che uno degli individui viene bombardato da proiettili autoprodotti in aula.

E’ quello l’unico episodio che potrebbe essere considerato il “casus belli”, un evento che scatena la “guerra preventiva” di una coppia che alimenta i significati immaginari del proprio mondo con la visione di documentari sul nazismo e con l’acquisto tramite internet di armi da guerra e divise militari.

Ora, è evidente che i nostri individui vivono la loro condizione sotto minaccia, si sentono privati di qualcosa, forse avvertono la privazione di una qualche forma di legame sociale.

Sembra che la costituzione di qualsiasi legame,anche per la loro coppia con un qualche sfondo omosessuale, possa diventare una minaccia per la libertà individuale, per il percorso instabile dell’elettrone/individuo. Qualsiasi vincolo porta ad un limite che è percepito come perdita.

E’ questa perdita immaginaria ,prodotta da un legame debole nel mondo degli elettroni/ individui,a scatenare la definizione della situazione come “guerra”.

“Non sono io a cercare un vincolo, sono gli altri che mi minacciano “

C’è una guerra e bisogna annichilire tutti gli individui che minacciano, questi individui non sono esseri umani, non c’è nessun legame sociale con loro, non circolano affetti e sentimenti, sono birilli che vanno abbattuti, figurine di un videgames o obiettivi di una guerra tecnologica vista alla televisione in cui i morti da bombardamento si chiamano “effetti collaterali” e non si vedono. Si vede solo il video dell’operatore che colpisce l’obiettivo. “Bumm!!.

Michael Moore nel suo film Bowling a Colombine mostra come il giorno della “guerra del liceo” sia lo stesso giorno di un bombardamento della guerra in Serbia che ha provocato decine di “effetti collaterali. Altri birilli.

Questo “stato di guerra preventiva” è una istituzione immaginaria sociale che ha come significato costitutivo l’immagine dell’individuo assoluto cioè privo di qualsiasi legame.

Si tratta dell’immagine hobbesiana dell’homo homini lupus :una guerra permanente che renderebbe necessaria l’istituzione di un potere globale altrettanto assoluto in grado di governare la libertà degli elettroni individui.

L’Impero

E’ noto che Antonio Negri e Michael Hardt hanno chiamato Impero questo potere che viene. L’Impero è in divenire è una istituzione immaginaria che ha già i suoi significati che ci stanno pervadendo. Negri e Hardt riprendono l’analisi di Polibio che, nelle Storie, argomenta sulle varie forme di governo.

Polibio, nel II secolo avanti Cristo, vede avanzare una nuova forma di governo. La tradizione greca distingueva La Monarchia che si corrompeva in tirannide per dare origine alla aristocrazia che si corrompeva in oligarchia per dare origine alla democrazia che si corrompeva in demagogia per dare di nuovo origine ad un Monarchia rinnovata riprendendo così il ciclo delle forme. Questa teoria è nota come il ritorno ciclico o “anaciclosi”. Per Polibio la costituzione Romana è così ben congegnata da raccogliere in se tutte e tre le forme di governo e di armonizzarle e ci dice che:

“Ne segue che i Romani sono insuperabili e la loro costituzione è perfetta sotto tutti i riguardi”

Polibio Storie Libro VI 18 pag 448

Proprio per questo motivo: “I Romani assoggettarono quasi tutta la terra abitata ed instaurarono una supremazia irresistibile per i contemporanei, insuperabile per i posteri” ibidem Libro I par 2 pag 4

Cioè Polibio comprende che è in arrivo un Impero duraturo e non effimero che si estenderà su tutto il mondo antico.

Nella nostra contemporaneità l’Impero che viene è un Impero planetario, una forma di governo del pianeta che renderà possibile l’istituzione immaginaria della società dell’individuo assoluto.

Questa è una realtà che viene, non è la realtà come abbiamo cercato di dimostrare.

La prevenzione è un altro mondo possibile cioè l’istituzione immaginaria di una società dei gruppi operativi ricombinanti.

La forma che sta assumendo il potere in questa “modernità liquida” come la definisce Z. Baumann, si basa sul controllo dei comportamenti e sulla promozione di stili di vita funzionali alla società dell’individuo assoluto, cioè atti di consumo.

Il consumo è fondamentalmente un atto passivo, le scelte apparentemente libere sono controllate da messaggi pubblicitari sempre più individualizzati e dunque più pervasivi e convincenti.

Del resto anche la produzione si è spogliata totalmente dal suo aspetto materiale per assumere un significato simbolico.

La merce non ha solo un valore d’uso ed un valore di scambio, questa economia è declinata con il novecento, la produzione del nuovo secolo è una produzione simbolica, i prodotti non sono solo materiali ma sempre di più un prodotto è un significato simbolico.

L’organizzazione della produzione si basa sul marketing, cioè sulla ricerca di determinati profili sociali (della società dell’individuo assoluto), questi profili, diciamo questi modelli di consumo, appartengono al mondo dei simulacri o se volete dei manichini o dei personaggi della società immaginaria dell’individuo assoluto.

Così scopriamo il profilo di lusso e quindi quali sono i consumi che caratterizzano questo personaggio immaginario che a seconda della moda si mostra con un abito, un comportamento, dunque uno stile che arbitrariamente significa lusso.

E’ così stabilita una relazione significativa tra determinati oggetti e determinati comportamenti, di più, la produzione semiotica rende significativi dei simboli, che vengono chiamate griffe o logo.

Questi simboli hanno il potere di conferire significato ad un oggetto: una borsa di materiale sintetico è una borsa di materiale sintetico, ed invece no, se ha un marchio impresso porta con se una costellazione di significati che trascendono l’utilità della borsa e la sua forma come oggetto di design.

Fra due marchi identici uno è più identico dell’altro, cioè quello autorizzato dal proprietario del marchio, questo marchio rende un oggetto, perfettamente simile ad un altro, un’altra cosa, gli conferisce un significato immaginario nella società dell’individuo assoluto.

E’ un atto magico.

Ma c’è di più, la produzione simbolica non si interessa agli oggetti, produce e promuove il marchio. La produzione delle merci è appaltata e subappaltata nel terzo mondo dove il lavoro costa pochissimo.

“Così, i quartieri generali sono liberi di concentrarsi sulla questione che più conta: creare una mitologia aziendale sufficientemente potente da infondere significato agli oggetti apponendovi semplicemente il proprio nome.”

Naomi Klein, No Logo pag 42

Quindi queste aziende hanno un ciclo di produzione simbolica, creano immagini significative o meglio significati immaginari e dunque l’economia contemporanea è una semiosi, una produzione di significati secondo un codice che è il codice della economia capitalista.

Infatti le creazioni sono proprietà di multinazionali che registrano i marchi e chiedono le royalty per concederli a chi li applicherà sulle merci e le farà diventare “magicamente” significative.

Cristan Marazzi descrive la produzione attuale in questo modo:

“nel sistema di produzione postfordista si è in presenza di una catena di produzione <>, comunicante, e le tecnologie utilizzate in questo sistema possono essere considerate vere e proprie macchine linguistiche, aventi per scopo principale quello di fluidificare e velocizzare l’informazione”

(Il Posto dei calzini pag 16)

La mutazione è avvenuta quando si è passati dal modello fordista :la catena di montaggio per massimizzare meccanicamente la produzione ad un modello caratterizzato da ordini di produzione “just-in-time, che non prevedono l’accumuulazione di grossi stock in magazzini/deposito.

Per eliminare il magazzino è necessario che l’ordine di produzione arrivi direttamente dal cliente e per gestire una quantità di informazioni di questo tipo è inevitabile che l’accento aziendale si sposti sulla distribuzione e che dalla distribuzione si cerchi di capire ed orientare le scelte del cliente,il flusso di informazioni che arrivano sulla tipologia dei consumi tramite i pagamenti effettuati con carte di credito permettono di disegnare la produzione e di ridurre fino ad eliminare i costi di stoccaggio.

Questa “macchina linguistica” rende evidente l’affermazione di Karl Marx nei Grundrisse quando analizzando la produzione capitalista dice che non produce solamente un oggetto per il soggetto ma anche un soggetto per quell’oggetto di consumo.

Ossia è chiaro che vengono prodotte identità per essere comprate e vendute e che la fabbricazione di queste identità o meglio di questi personaggi si accompagna alla produzione di storie di “format”, per mettere in scena i personaggi.

Questo è il cuore del semiocapitalismo.

Il semiocapitalismo ha incorporato l’immaginazione come un fattore di valorizzazione del capitale e questo processo è avvenuto, sta avvenendo tramite la trasformazione in forza lavoro degli artisti dei pittori,dai poeti,dei filosofi degli scienziati e di tutti i creativi.

Questa irreggimentazione è molto di più dell’arruolamento nell’industria culturale durante il novecento perché configura l’incatenamento della fantasia alla dimensione del mercato, il capitalismo dopo essersi impadronito della ragione nel primo novecento ed avere attuato i processi di razionalizzazione sociale analizzati da Max Weber e dal Lukacs di Storia e Coscienza di Classe si è impadronito anche della immaginazione e sta attuando una serie di processi di immaginazione sociale.

Questo periodo è ancora più devastante e carico di conseguenze per la vita quotidiana degli esseri umani. Infatti nel primo novecento il processo di razionalizzazione capitalistico ha prodotto la grande fabbrica fordista come architettura emblematica della modernità, ma anche la classe operaia, cioè una moltitudine di forza lavoro concentrata nei grandi edifici, che ha avuto la possibilità materiale di formare una comunità di destino, cioè di prendere coscienza dei propri interessi, della propria identità e di riconoscersi come classe sociale cioè di attuare un cambiamento dello stato di coscienza: dalla falsa coscienza di forza lavoro alla coscienza di classe.

Mentre ora, il processo di immaginazione capitalistica produce il centro commerciale come architettura emblematica della post-modernità e i visitatori o clienti così come i lavoratori di questi centri della grande distribuzione pur essendo una moltitudine non sono in grado di immaginarsi una comunità di destino perché non riconoscono di avere gli stessi interessi e dunque non hanno che una coscienza frantumata e falsa, anche loro sono,individui,elettroni che circolano nella istituzione Centro Commerciale attirati dalle protesi identitarie che fanno mostra di se.

I non luoghi

Il transito all’interno di questi non-luoghi come li definisce Marc Augè è una esperienza estetica di notevole portata. Gli oggetti richiamano un interesse con la forma o con l’odore, talora anche il sonoro è implicato. Per destare curiosità, la merce esposta è, per così dire animata, cioè provvista di un anima, di un significato. Non stiamo gironzolando in un deposito, dove vi sono stock di merci, tutte uguali in serie. no! Qui siamo in una situazione in cui gli oggetti parlano, nel senso che la visione di un marchio fa scattare la catena associativa e provoca l’attribuzione di senso ad un oggetto secondo un codice che abbiamo appreso nella nostra vita quotidiana, da un mezzo di comunicazione di massa.

L’apprendimento del codice non è un processo attivo, c’è bisogno di uno stato di coscienza ipnoide perché la catena associativa totalmente arbitraria si instauri. Si tratta di un vero e proprio condizionamento operante che agisce tramite l’iterazione degli accostamenti fra un certo marchio e un certa emozione.

In questo caso il rinforzo positivo è dato dall’emozione piacevole che viene associata al marchio. Si tratta sempre di manipolazione dei flussi libidici che vengono concatenati al segno. Così si produce il fenomeno della erotizzazione dell’inorganico: appunto il sex appeal,questo è il segreto del feticismo della merce di cui parla Marx nel primo libro del Capitale.

Ma la associazione fra marchio e piacere è appresa in un uno stato di coscienza modificato, prodotto nella vita quotidiana dalla visione della televisione o dall’ascolto della radio. Si tratta di una dissociazione dalla coscienza ordinaria.

Come abbiamo visto varie province di significato coesistono negli stati multipli di realtà, e nella vita quotidiana con le sue routines vi sono delle fratture che lasciano emergere stati di coscienza non ordinari. In particolare l’immissione nella quotidianità dei mezzi di comunicazione di massa ha favorito l’estensione di stati di coscienza ipnoidi in una dimensione che non li prevedeva. Di qui una minore difesa alla penetrazione pervasiva del condizionamento operante che in quanto tale è performativo cioè ordina un comportamento.

La macchina linguistica di cui parla Marrazzi prevede la produzione di vere e proprie mitologie, le mitologie del marchio che hanno lo scopo di vendere atmosfere immateriali che animano gli oggetti.

Questa dimensione, molto ben descritta, nei racconti di Philip Dick è il regno della falsa coscienza, l’individuo assoluto, il protagonista di questa finzione si crede totalmente libero mentre in realtà è governato da monopoli che impongono un ordine simbolico fortemente caratterizzato dal controllo e dalla gerarchia.

La società dello spettacolo mette in scena la libertà dell’individuo assoluto ma nel retroscena troviamo gerarchie, autoritarismo:

“Quando la produzione non è più programmabile perché, diversamente dal fordismo il mercato non è più in grado di espandersi infinitamente a causa della compressione del potere d’acquisto,quando cioè domina l’occasionalità, l’imprevedibilità si fa regola e tutto si gioca nell’adattamento in tempo reale,si chiudono gli spazi delle garanzie giuridiche,dei diritti universali,cioè dei diritti indipendenti dalle persone fisiche con nome e cognome” Marazzi op. cit. pag. 36.

A questo proposito è illuminante una ricerca di socioanalisi condotta da Renato Curcio sui supermercati Esselunga. Da questa ricerca emerge come nelle grandi aziende della distribuzione il rapporto interno sia regolato da meccanismi tipici delle istituzioni totali e che l’insicurezza e la precarietà siano il portato del processo di individualizzazione del rapporto di lavoro. Tutto questo configura un “Dominio flessibile” per un individuo apparentemente assoluto cioè libero di gestire la propria vita ma dominato da una struttura tipica dell’istituzione totale in cui non c’è nessun diritto ma solo privilegi delle gerarchie.

Questo è il problema del potere nella vita quotidiana: un flusso di decodificazione dalle appartenenze famigliari. territoriali,nazionali,etniche, libera gli individui riducendoli però allo stato di “nuda vita” priva di qualsiasi diritto.

Giorgio Agamben assimila questa “nuda vita” alla veneranda figura dell’Homo Sacer così descritta da Festo :

Uomo sacro è, però, colui che il popolo ha giudicato per un delitto; e non è lecito sacrificarlo,ma chi lo uccide, non sarà condannato per omicidio; infatti nella prima legge tribunizia si avverte che <>. Di qui viene che un uomo malvagio o impuro suole essere chiamato sacro

Homo Sacer pag 79

Quella di “Homo sacer” è la condizione nei campi di sterminio dove la vita può essere annientata in qualsiasi momento, secondo il concetto elaborato dallo specialista di diritto penale Karl Binding e dal professore di medicina, che si occupava di bioetica Alfred Hoche..

Furono questi due autori, ci dice sempre Agamben, ad elaborare il concetto di “vita indegna di essere vissuta” o anche”vita senza valore” che dunque può essere soppressa in qualsiasi momento da chiunque. Questo concetto “giuridico” fonda il campo di concentramento.

La nuda vita è l’essenza del processo di individualizzazione,in un mondo di individui assoluti chiunque può uccidere chiunque: ognuno è sovrano non esiste nessun legame sociale, nessun diritto che limiti la forza.

Questa forma di vita emerge con i migranti e con i centri di detenzione temporanea ma anche con il campo di Guantanamo. Nello stato di guerra permanente il terrorista non ha diritti. Death or alive. E dunque è la forza a prendersi i suoi diritti ed a ricodificare gli individui assoluti secondo un ordine.

Questo è l’impero. L’impero così concepito non è “la fase suprema del capitalismo” di leniniana memoria ma l’istituzione immaginaria dello statu quo, è dunque,in primo luogo una stato di coscienza che accetta passivamente il flusso dominante delle informazioni.

Siamo giunti al punto centrale di queste tesi di prevenzione:

L’individuo assoluto liberato dai vincoli di appartenenza non ha il potere di elaborare autonomamente le informazioni mainstream ma è costretto ad accettarle nel loro potere performativo, di pragmatica della comunicazione e cioè di indicazione di modelli di comportamento. E’ questa la ricodificazione attuata dall’impero. Il codice imperiale planetario non è imposto dalle baionette dell’Empereur né dalle icone del Basileus ma sgocciola nella vita quotidiana trasportato dalle autostrade dell’informazione e veicolato dai mezzi di comunicazione di massa. Qualsiasi attività preventiva deve creare affetti, suscitare passioni, organizzare desideri,produrre stati modificati di coscienza che rendano evidente la possibilità del cambiamento.

(segue)

Su Leonardo Montecchi

Psichiatra, psicoterapeuta, direttore della scuola di prevenzione Josè Bleger
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