Il viaggio in Goletta del Centro Diurno della Cooperativa Sociale Cento Fiori di Rimini

Il centro diurno

Il Centro Diurno è una struttura terapeutico riabilitativa semiresidenziale, convenzionata con l’Ausl (Ser.t., Simap, Handicap adulti), seguita da un’équipe terapeutica formata secondo la concezione operativa di gruppo; tale concezione fa riferimento al lavoro dello psichiatra e psicoanalista argentino Pichon Rivière la cui esperienza teorica e pratica è stata sviluppata in italia dal Prof. Armando Bauleo dell’IPSA (Istituto di Psicologia Sociale Analitica) di Venezia.

L’équipe è composta da: uno psichiatra, una pedagogista, una psicologa, una educatrice professionale, due capi settore lavorativi con una formazione specifica sulle problematiche trattate.

Il programma terapeutico, al quale si accede con la firma di un contratto, è rivolto a persone che presentano problematiche di dipendenza patologica: alcoolismo, tossicodipendenza, disturbi del comportamento alimentare.

Il Centro si occupa anche di casi di doppia diagnosi.

Il progetto Goletta: presupposti teorici e metodologia

Ogni anno il gruppo di utenti in terapia presso il Centro Diurno realizza un viaggio in barca. Si tratta di una imbarcazione del 1936, ristrutturata e armata a Goletta nel ’90 dal cantiere nautico della Cooperativa Cento Fiori di Rimini. E’ attualmente gestita dalla Cooperativa Atlante: lunga 24 metri può ospitare 14 persone. Nei mesi di Luglio e Agosto è utilizzata dalla Lega Ambiente per il monitoraggio del mare.

Questa esperienza è strettamente legata alla terapia ed inoltre costituisce una caratteristica peculiare del Centro Diurno; intendo dire che non è solo un bel viaggio che facciamo con i nostri utenti, ma quello che accade è iscritto in una cornice, un quadro di lettura, che ci consente da un lato di rilevare elementi in più sulle persone in terapia e dall’altro di fornire loro un’esperienza intensa di crescita gruppale e personale.

La partecipazione tuttavia non è obbligatoria poiché il viaggio è molto particolare ed ognuno può decidere se venire o meno.

Nel viaggio sono presenti anche uno o due operatori del centro, alcuni ospiti che, in base alla disponibilità di posti vengono invitati, i marinai e il Capitano.

Il gruppo degli utenti deve avere chiaro prima di partire i ruoli dei viaggiatori; il Capitano dà le disposizioni generali e le regole al gruppo; quest’ultimo deve organizzare poi la vita della barca.

Viene fatta una riunione con il Capitano di solito direttamente in Goletta prima di partire anche se l’ideale sarebbe farla a terra, magari qualche giorno prima della partenza.

In questo modo il Capitano “impersona” in un certo senso ciò che al Centro è il Contratto delle regole; diventa in questo modo più chiaro il ruolo dell’operatore che deve osservare e leggere le dinamiche che emergono da questo rapporto fra gli utenti e le regole. Non è l’operatore che dà le regole, ma esse diventano necessarie per il buon andamento del viaggio.

Abbiamo visto che in questo modo si facilita la responsabilizzazione del gruppo rispetto alla vita della barca e diminuisce la dipendenza dall’operatore.

Nella riunione organizzativa si stabiliscono le mansioni, i turni cucina e pulizie ecc..; viene in questo modo ridefinito il setting terapeutico, perché diventa chiaro che ci si trova in un altro spazio, diverso non solo dal Centro Diurno, ma anche con caratteristiche sue proprie che richiedono da parte di tutti una “riorganizzazione”.

Riorganizzare lo spazio corrisponde quindi anche a un ripensamento del proprio spazio interno infatti, come dice Bauleo, parlare di spazio è sempre farlo in un doppio senso, in una doppia ubiquità: l’esteriorità e l’interiorità.

Se consideriamo la malattia mentale come il risultato di meccanismi psicologici che diventano rigidi, stereotipati, possiamo figurarci anche una configurazione geografica di questa stereotipia: una mappa fatta di emozioni, sentimenti, ruoli e attribuzioni che si ripetono sempre uguali.

Il paziente diventa colui che mantiene questa mappa, che non può differenziarsi dagli altri membri del nucleo familiare nel quale ha sviluppato una dipendenza patologica.

Il viaggio in barca rappresenta bene questa rottura di schemi, perché il viaggio stesso in un ambiente così particolare, lo spostarsi anche geograficamente in luoghi lontani porta ad uno spaesamento, ad una frattura nella routine che può permettere l’emergere di una nuova geografia interna, di una possibilità di ripensarsi in rapporto ad una diversa realtà.

Lavoriamo inoltre con la dipendenza patologica: spesso i nostri utenti non sono mai stati per lungo tempo lontani da casa e questa separazione permette loro una crescita e una forte acquisizione di autostima.

La vita in barca, così a stretto contatto rende più evidenti ad ognuno le conseguenze delle proprie azioni e comportamenti: se c’è un problema questo immediatamente diventa patrimonio di tutti e condiziona infinitamente il clima della barca: non si può pensare che sono gli altri a risolvere i problemi perché gli effetti del proprio impegno personale per fare andare bene le cose sono altrettanto ben visibili: questo porta ogni singolo ad impegnarsi molto di più e a trovare, di volta in volta, il suo ruolo.

Un’altra cosa che viene sempre fatta è il diario di bordo.

In ogni imbarcazione è uso che il capitano scriva un diario: estendiamo questa cosa all’equipaggio.

Ogni sera gli utenti si incontrano e scrivono tutto quello che desiderano in merito alla giornata trascorsa (eventi ed emozioni); questo materiale servirà non solo per non perdere memoria del viaggio, ma anche per un’attività terapeutica che si svolge una volta tornati.

Infatti vengono convocati tutti i familiari implicati nel programma terapeutico e si legge a tutti il diario.

Dai diari di bordo:

“ siamo partiti alle 22.00 lasciandoci dietro le nostre spalle le luci di Rimini. L’emozione è alta per tutti…”

“mi è piaciuto molto la scena di partenza con Rimini alle spalle e quindi anche i problemi e le solite storie e routine del Diurno”

“ieri sera mi era presa una depressione della madonna e mi ero isolato ma poi grazie ad Andrea e Micky mi sono ripreso”

“troviamo bellissimo mangiare a mo’ di “tribù” sul ponte tutti insieme”

Da questi emergenti si può pensare che il distacco, la separazione, crea oltre che gioia anche “depressione”, cioè sentimenti di perdita lontani da casa: è la “tribù”, cioè il gruppo con il quale identificarsi, che può favorire questi processi di autonomia, contenendo le emozioni dei processi di separazione/individuazione propri della terapia con il tossicodipendente.

Subito dopo vengono divisi due gruppi, possibilmente separando i genitori dai figli, e il compito è parlare delle emozioni che si sono provate e di tutto quello di cui si vuole parlare.

L’esperienza di separazione è infatti molto intensa anche per i familiari che hanno, a loro volta, la possibilità di pensare gli effetti che questi cambiamenti hanno su di loro.

Le emozioni sono molto forti, il viaggio in barca mobilita risorse personali e produce nuove consapevolezze.

Anche i pazienti tossicodipendenti con disturbi psichiatrici evidenziano un cambiamento significativo rispetto al comportamento mostrato nella quotidianità del Centro Diurno: ad esempio un ragazzo con un grave disturbo ossessivo compulsivo la cui partecipazione al viaggio lasciava perplessa anche l’équipe terapeutica, è riuscito non solo a vivere in barca a contatto con gli altri per una settimana, ma ha fatto anche il bagno in mare, cosa che non riusciva a fare da anni a causa della sua fobia del contagio.

Dopo le osservazioni di questi anni, sei viaggi in Goletta, arriviamo a considerare questa esperienza come un momento integrante e arricchente della terapia.

Questo spazio terapeutico itinerante si colloca in una dimensione nomade, deterritorializzata e quindi più vicina e quegli spazi “fuori” nei quali è solitamente confinata la malattia mentale o la problematica psicologica.

Sono anche gli operatori quindi che subiscono questo spaesamento: sono costretti loro stessi a essere fuori dall’ambiente terapeutico abituale, possono più facilmente avvicinarsi alle geografie dei pazienti: non rappresentano il modello sociale al quale adeguarsi passivamente, sono, come si dice, sulla stessa barca e lavorano per costruire creativamente insieme agli utenti, nello spazio del mare, nuove isole e nuovi territori di senso.

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