Tra identità e soggettività. Analisi di un processo

L’intento di questo lavoro è quello di analizzare e riflettere sul processo che si è sviluppato durante la realizzazione del progetto di prevenzione promosso dal DDP ( Dipartimento Dipendenze Patologiche) di Senigallia in un CSOA (Centro Sociale Autogestito) della stessa città nel periodo compreso tra il 2008 e il 2009, nel corso di 8 mesi di lavoro.

Il progetto, nella sua elaborazione e realizzazione, ha utilizzato l’approccio teorico concettuale e le metodologie della concezione operativa ; per la riflessione e la elaborazione si farà riferimento ai contributi delle teorie elaborate da M .Foucault e dal movimento femminista fino a J. Butler.

I concetti che ci aiuteranno nello sviluppo del discorso saranno dunque gli assunti di base della concezione operativa quali emergente, vincolo, ecro e i concetti di potere, sapere e soggettivizzazione sviluppati da M. F così come quelli della differenza di genere da L Irigaray, della disfatta di genere e di critica della concezione etica di J. Butler.
Queste teorie convergono su alcuni punti mentre si differenziano sostanzialmente in molti altri;

M. Foucault , L. Irigaray e J. Butler oppongono una forte critica alla psicoanalisi come strumento e tecnica di controllo, di potere e di pensiero unico ma è altrettanto evidente , nelle loro teorie, il riconoscimento al valore svolto dalla parola , dalla relazione , dalla sessualità nel processo di costruzione del Sé che richiamano e riprendono i costrutti di base della psicoanalisi a cui tutti gli autori citati , in qualche modo e loro malgrado, fanno riferimento.

Sarà soprattutto recuperato il concetto hegeliano del Sé non per arrivare, come conclude Hegel, ad un pensiero unico, totalizzante e assoluto ma ad una condizione di apertura “non definita” che presuppone un costante atteggiamento “critico”, come sostiene J. Butler.

Inquadramento ed Emergenti del progetto di Prevenzione

Il progetto è stato realizzato nel periodo compreso tra il 2008 e il 2009, all’interno dei programmi di prevenzione elaborati dal DDP di Senigallia con finanziamenti ministeriali. L’obiettivo dichiarato era di conoscere e stabilire un legame tra servizi e istituzioni con mandati e compiti diversi.

Il DDP ha un mandato istituzionale di cura e prevenzione rispetto all’uso di sostanze stupefacenti , il Centro Sociale Autogestito ha un compito politico culturale e quindi con presupposti fondativi diversi dalla cura ma, proprio per i processi che si sviluppano al suo interno, promuove di fatto la “cura del Sé “come direbbe M. Foucault.
Il CSOA aveva già , al suo interno, un laboratorio-gruppo di lavoro sulle droghe a chiaro orientamento antiproibizionista.

Gli obiettivi da perseguire nel progetto erano pertanto così sintetizzabili:

  • A ) conoscenza reciproca di istituzioni e realtà diverse,
  • B) costruzione di un vincolo tra le due istituzioni,
  • C) elaborazione comune e condivisa di un eventuale successivo progetto rivolto alla popolazione giovanile così detta “ a rischio” frequentatrice dei Centri Sociali e, se possibile, a tutta la popolazione giovanile di Senigallia.

La specificità ed il presupposto del progetto , nella elaborazione degli operatori del DDP, era di non essere un prodotto preconfezionato ed elaborato da una istituzione del settore . Ciò avrebbe consentito di contenere ed arginare i rischi di esportare una cultura definita, adultizzata e standardizzata in materia di tossicodipendenza per ridurre al minimo una fisiologica tendenza ad effettuare una operazione di manipolazione, adattamento , controllo ed omologazione a norme e a codici istituiti e stereotipati.

Si sono realizzati nove incontri tra gli operatori del DDP e i frequentatoti del CSOA nelle sedi del DDP stesso e presso i locali del CSOA . Il DDP e il CSOA si sono posti in modo diverso in relazione al compito. Il DDP, in quanto servizio di cura e prevenzione, ha proposto e raccontato le proprie istanze scientifiche sulle sostanze psicotrope , sui trattamenti e sulla legislazione in materia; il CSOA , come istituzione politica e culturale , ha proposto e narrato la sua cultura rispetto all’uso di sostanze , ai comportamenti ed ai vissuti.

A questo punto , in termini faucoltiani , si potrebbe porre un primo quesito: le due istituzioni sono paritetiche rispetto al potere, ai mandati, alle risorse economiche, all’organizzazione e se esiste una asimmetria come questa ha giocato un ruolo nella dinamica interistituzionale; a favore di chi, per quali scopi e a quale prezzo?

In altri termini, secondo il modello della concezione operativa, si trattava di fare incontrare un ecro ( DDP) con un altra ecro (CSOA), in una condizione di totale apertura e permeabilità con il fine di promuovere la costruzione di una nuova ecro ricombinata, come direbbe L Montecchi.

Le finalità di massima erano dichiarate ma si apriva un processo il cui esito poteva e doveva, per i presupposti, non essere definibile.

Altro problema interessante è se una istituzione sanitaria può essere profondamente aperta ad un lavoro di de-costruzione e di de-istituzionalizzazione come effettivamente dichiara negli intenti.
Ma ritorniamo alla descrizione del progetto e accenniamo ai dispositivi attivati e alle scelte metodologiche.

Dal punto di vista metodologico il DDP aveva deciso di utilizzare il metodo etnografico con la registrazione , tramite un diario tenuto da un operatore del DDP , di tutti gli accadimenti avvenuti negli incontri. Nella fase preliminare c’era stata una negoziazione attivata dagli operatori del DDP con i leaders del CSOA ( due giovani donne di circa 20 anni) che hanno promosso e permesso gli incontri. Si sottolinea che , in maggioranza, l’identità di tutti gli attori promotori del progetto è di sesso femminile; il diarista e i “ragazzini” di sesso maschile.

L’appellativo di “ragazzini” , utilizzato nelle comunicazioni tra i vari integranti e dalle leaders del Centro Sociale, è stato nettamente rifiutato dagli stessi allorché usato dagli operatori per riferirsi a loro. Si può considerarlo un emergente della disparità di ruolo che veniva nettamente rifiutata dai frequentatori del CSOA nell’intento di recuperare una posizione di parità che avrebbe altrimenti avrebbe potuto “giocare” negativamente nella dinamica di potere?

Negli incontri c’erano quattro operatori del DDP e circa 10/12 “ragazzini”del CSOA , già operativi nel Laboratorio Antiproibizionista del Centro Sociale.

Ci pare interessante sottolineare altri elementi di disparità tra le due istituzioni rispetto ai ruoli , alle identità e all’età anagrafica dei soggetti che costituiscono senza dubbio un elemento di ricchezza per la eterogeneità rispetto al compito ( J.Bleger).

Gli operatori hanno tutti una età superiore ai 40 anni, un ruolo sociale e professionale definito ed autorevole; i giovani del CSOA hanno meno di 20 anni , sono in maggioranza studenti e, per dirla come i più recenti antropologi analisti istituzionali che hanno studiato realtà marginali ed il fenomeno della dissociazione, una identità plurima e frammentata. Le stesse variabili possono svolgere una funzione diversa, al limite della perversione , se riferite alla categoria sopra indicata del potere; come hanno funzionato, chi ha esercitato l ‘autorità, chi si è assoggettato e come ha giocato, nel suo complesso, l’asimmetria ?

In questo caso , a differenza di un setting psicoterapico, l’asimmetria non era intenzionalmente voluta e pensata.

M .F. afferma che non ha senso porre la convenzionale domanda teorica “cosa è il potere?”

Possiamo solo chiederci come lavora il potere, che forma assume in questa e in questa altra pratica, cosa fa?

Emergenti

In particolare si vuole fare riferimento agli emergenti dell’ultimo incontro, seppure il processo risulta ancora aperto e non concluso.

Pichon Riviere(1985) parla di epistemologia convergente quando le differenze di realtà , istituzioni e soggetti eterogenei convergono su un unico compito , riescono a produrre un “pensiero” superando gli ostacoli epistemici, cognitivi ed affettivi e determinano così un clima operativo produttivo. In questi gruppi si può abbattere il pregiudizio , moltiplicando i processi di autogestione ed autoorganizzazione (L. Montecchi).

Incontro conclusivo (maggio 2009)

1° emergente “Nel centro c’è un po’ di chiusura mentale, anche tra i compagni (quello delle droghe) è un terreno scivoloso. Il confronto non è sempre semplice, ci vuole un periodo di preparazione, confronto interno preludio a quello esterno.”

2°Emergente “Se lo avessimo fatto subito la discussione sarebbe morta perché non eravamo costruiti come gruppo, che richiede molta rielaborazione personale. Qui si chiede di cambiare modo di pensare. L’antiproibizionismo richiede un cammino più lungo, combattere i nostri pregiudizi, è come la sessualità , tematiche che ti coinvolgono a livello personale.”

3° emergente “C’è una certa schizofrenia anche all’interno del CSOA, contenitori di teorie e pratiche,”

Negli emergenti c’è la consapevolezza che le problematicità non sono solo fuori ma anche dentro il CSOA e dentro ogni integrante; diventa necessario il confronto con gli altri e con gli stereotipi interiorizzati. Nel tempo si è rafforzata l’appartenenza come gruppo di lavoro , la coscienza della necessità di un lavoro per la crescita personale e collettiva. Si parla di cambiamento.

L’istanza resistenziale la si può cogliere nel rifiuto di parlare del personale, dei propri comportamenti legati all’uso di sostanze e nella tutela della sfera privata . Si potrebbe pensare che c’era la paura del giudizio e dello stigma da parte degli “esterni” e qui si aprirebbe tutta quella complessità del “dire vrai” elaborata da Foucault negli ultimi anni della sua vita. A chi? Che uso ne farà delle mie parole ? Quale è il prezzo?

Nell’ultimo emergente affiorano le difficoltà ad integrare la teoria con la pratica , infatti parlano dei meccanismi di scissione utilizzati all’interno del CSOA.
Soggettività e Assoggettamento

Nel progetto sopra descritto si è realizzato un processo interessante secondo lo schema di riferimento della concezione operativa ma tutta l’attenzione è centrata sull’oggetto , inteso come CSOA. In termini psicodinamici ci si potrebbe chiedere come ha agito il controtransfert istituzionale . Di fatto non c’è ancora stato una parallela analisi e riflessione all’interno del DDP. Cosa è successo all’interno della istituzione di cura , come questa esperienza ha modificato, se ha modificato, gli stereotipi degli addetti ai lavori sui frequentatori dei centri sociali , sul loro rapporto con le sostanze stupefacenti?

Per pensare a questa esperienza con un’altra ottica e per introdurre la categoria dell’etica mi interessa utilizzare uno dei concetti centrali elaborati da J Butler nel suo libro “Critica alla violenza etica” e cioè il concetto della “scena interlocutoria”.

“Se mi racconto e do conto di me in risposta a questa domanda , sono implicitamente implicata in una relazione con l’altro di fronte al quale e con il quale parlo. In altre parole , io arrivo a essere soggetto riflessivo nel contesto specifico in cui elaboro un resoconto di me, perché “convocata “ da qualcuno e spinta a mia volta a interpellare chi mi ha chiamato in causa.” (pag 25 J . Butler)

“…Il sé deve apparire per poter costituire se stesso e può farlo solo nel quadro di una scena interlocutoria e cioè all’interno di una relazione specifica e socialmente costituita.” (pag151 J. Butler ).

Negli incontri gruppali si è determinata una condizione di interrogazione , un esterno che interroga l’altro e gli chiede ragione dei suoi comportamenti. Secondo la filosofa americana solo l’attivazione di una situazione di questo tipo permette di capire e di comprendere la propria e l’altrui posizione ; interrogarsi interrogando l’altro produce e determina coscienza di Sé: dove sono , cosa sto facendo , cosa mi spinge e mi motiva ad agire in un certo modo.

Inoltre se applichiamo alla relazione tra questi due soggetti istituzionali le categorie concettuali del pensiero femminista della differenza di genere questa relazione potrebbe configurarsi come una relazione intersoggettiva , per dirla con le parole di L. Irigaray. La relazione intersoggettiva impone una situazione di orizzontalità tra due soggetti (Io e Tu), tipica della cultura femminile e diversa dalla relazione che attiene alla cultura maschile tra Io (soggetto) e Tu (oggetto). Nell’ipotesi di una relazione intersoggettiva si producono cambiamenti in entrambi i termini della relazione, se ciò non accadesse sarebbe di nuovo il reiterarsi di una pratica di sopruso e di omologazione .

La cultura maschile comporta, a detta della pensatrice femminista francese , una differenza di genere sostanziale rispetto a quella femminile; come abbiamo già detto prevede una relazione tra un Io e un Tu oggetto , spesso di sottomissione e dominio, tesa all’appropriazione e integrazione dell’altro.

Tutte le istituzioni sono di genere maschile caratterizzate da sottomissione, fortemente gerarchizzate e luoghi di espressione di dominio. Nell’ottica del pensiero femminista condividiamo e accogliamo l’istanza che solo l’intersoggettività può permettere di rispettare l’altro per acquisire consapevolezza “ dei miei atti e della mia azione e diventare eticamente significativa” . Sono parole di J Butler la quale sostiene che solo attraverso la narrazione del nostro agire e delle nostre azioni morali si può conquistare una tensione etica.

Poste queste premesse ci sembra di poter rilevare che il “ governo” e l’esito del processo avviato dal progetto rappresenti l’elemento di inquietudine . Si ha timore che prevalga uno specifico maschile dell’istituzione sanitaria affossando una intenzionalità tutta femminile tesa allo sviluppo di una orizzontalità fra le istituzioni in gioco. Ci preoccupa la differenza di potere e sapere socialmente riconosciuti fra le due istituzioni ; si attribuisce una credibilità e un ruolo sicuramente più forte ad una istituzione accreditata e depositaria di conoscenze quale è un servizio sanitario rispetto ad un centro sociale percepito e vissuto, dai più, come luogo di concentrazione di marginalità, ribellione , caos e inoltre ci chiediamo se questo stereotipo sia interiorizzato e agisca anche dentro gli operatori.

La responsabilità e l’etica

Ad un certo punto M. Foucault , ponendosi il problema della verità e della riflessività , introduce la questione etica in quanto il tema del potere e della verità sono intimamente legati . Sostiene che non si può dare conto di sé e delle proprie azioni senza chiamare in causa il potere . In questa direzione si inserisce J . Butler affermando che la richiesta etica è anche una questione politica e l’etica finisce per compromettere la propria credibilità quando non diviene critica.

Noi pensiamo che ogni nostro agire sia un problema etico, come persona e come operatore; la sfera professionale non può prescindere da considerazioni etiche e politiche .

Abbiamo già ampiamente detto che la condizione interlocutoria è la condizione che sollecita la riflessività perché è solo attraverso il discorso di qualcun altro si è indotti a riflettere su di sé. Se non c’è una condizione interlocutoria si determina confusione che annulla la mia e altrui tensione etica , si assiste ad una accettazione a-critica e ad un moralismo perbenista , conformista ed omologante . In molte situazioni di incontro sembra piuttosto di assistere ad una lezione di “bon ton” salottiero o a una riproposizione volgare ed oscena di una evangelismo di bassa lega.

L’ accettazione formale e buonista , di fatto, non produce tensione verso il cambiamento .

Il cambiamento va inteso in senso etico, evolutivo e invece troppo spesso si inscena una farsa tra i soggetti attori; nelle relazioni interpersonali, affettive, amorose e lavorative impera questa attenzione epidermica ad un “sapere stare in relazione” indipendente da una vera tensione relazionale in cui si è disposti a farsi “toccare” dall’esterno. Questa espressione viene usata nel senso della corporeità , per dare maggior valore ad un avvicinamento profondo, intimo. Tutto questo accade anche nelle operatività di servizi di cura e sociali dove ci si conforma ai dettami in voga facendo riferimento alla “ integrazioni di istituzioni”mentre troppo spesso si ha a che fare invece con realtà istituzionali prive di” tensione etica” che, di fatto, sostengono e rafforzano l’esistente.

Il tentativo e la costante tensione di “lavorare in rete “per “ integrare i servizi”, come è in uso dire tra gli addetti ai lavori e nella cultura più avanzata dei servizi sanitari, potrebbe sottendere un meccanismo di potere e manipolazione che mira al controllo “su e di un altro soggetto”, a volte anche inconsapevole. Spesso questa manipolazione viene mascherata e mistificata con un “discorso” evoluto all’interno del quale ci sono parole come scambio e integrazione, vocaboli molto evocati in questo particolare periodo storico per ciò che attiene a fenomeni quali il multiculturalismo, l’immigrazione, la differenza di genere, le disabilità e le differenze generazionali. Ci viene in mente il “potere seduttivo”, l’attrazione suscitata da certi azioni non solo individuali ma anche collettivi ed istituzionali promosse dalle “macchine” post moderne che continuano a condizionare i comportamenti e la cultura.

Michel Foucault ci ha indicato come la “ scientia sexualis” , a partire dal XVII secolo, abbia operato una trasposizione del sesso in un “discorso sulla sessualità” attraverso la medicina, la pedagogia e la psichiatria conseguendo , in tal modo, un controllo sui corpi , sul piacere e sul desiderio. Qualcosa di analogo si potrebbe ipotizzare stia avvenendo con la trasposizione in discorso sulle droghe che, come il sesso, fa riferimento alla dimensione del piacere e , in quanto tale, ha una forza destruente ed eversiva rispetto al sistema. Il sistema vuole controllare, ordinare ed omologare ottenendo , in tal modo, un controllo sui corpi, sulle persone e , in ultima analisi, sulla soggettività.

Sul piano esplicito l’intenzione della scienza medica è l’analisi , lo studio rigoroso e scientifico dei comportamenti di abuso delle sostanze psicotrope e della dipendenza da sostanze tossiche. Facendo una operazione molto audace e un po’ provocatoria si potrebbe parafrasare M. Foucault e ipotizzare che potrebbe essere in atto un altro tentativo di controllo sulla vita , sui comportamenti , sui corpi e sui desideri delle persone, sul loro modo di vivere il piacere contribuendo paradossalmente e perversamente a incrementare l’uso degli stupefacenti tanto avversato. ( cfr Saggi sulla teoria sessuale). Non potrebbe essersi verificato uno spostamento dei meccanismi di potere e controllo dalla sessualità alle droghe? Perchè e da quali istanze nasce questa costante e forte sollecitazione e attenzione delle discipline umane, dalla pedagogia alla sociologia fino alla psicologia e alla psichiatria, a parlare e a fare parlare di droghe così da produrre tanto materiale scientifico sulla materia? Si può pensare che nasconde istanze di controllo sul piacere da parte del potere o , proprio in quanto trattasi di piacere, è temuto e va bloccato e gestito? E’ lecito fare questa analogia tra sessualità e uso delle droghe? C’è una tendenza a patologizzare e stigmatizzare comportamenti non riconoscendo la istanza ludico –ricreativa -creativa nell’uso di stupefacenti?

Gli operatori del DDP sono in grado di mantenere la distinzione tra ciò che è patologico da ciò che è ricerca di uno stato di alterazione della coscienza o ricerca di una situazione dissociativa all’interno di un processo di crescita o di una condizione esistenziale ? Che cosa ne facciamo allora dei contributi di studiosi come G Lapassade, R. Curcio ed altri istituzionalisti che ci hanno parlato della dissociazione come risorsa?

I giovani del CSOA hanno trovato il collegamento fra sessualità e uso di droghe non del tutto improprio . Anzi dicono, per difendersi da possibili abusi e manipolazioni di potere, che non è facile parlare di droghe così come non è facile parlare di sessualità perché attiene” al privato”. Per noi operatori del settore è conseguente “interpretare” questa difficoltà secondo i parametri della psicoanalisi , sono istanze di resistenza e quindi are di problematicità . Ma se così non fosse ? Se questa atteggiamento dei frequentatori del CSOA fosse una forma di difesa ad un mancato ascolto libero e scevro da pregiudizi o da stereotipi . Noi operatori abbiamo appreso a leggere i comportamenti secondo schemi di riferimento . Siamo disposti a modificarli? (Ecro delle Istituzioni di cura).

Analoga riflessione si potrebbe fare rispetto ai meccanismi di scissione cui i frequentatori del CSOA fanno riferimento; siamo in grado di cogliere nella dissociazione una valenza positiva intesa come risorsa identitataria che , di fatto, viene attivata nel processo di costruzione dell’identità per fare fronte ad un fuori istituito percepito come ostile, avverso e stigmatizzante? E , ancora, esiste oggi una identità unica?

L’interrogativo che ci dobbiamo porre è dunque se c’era un vero ascolto nei presupposti del progetto? Si è realizzata una situazione veramente interlocutoria che può contribuire a sviluppare il processo di costruzione della soggettività? Quella soggettività che, per altro, sembrano cercare i giovani proprio anche e soprattutto nei centri sociali che, a nostro parere, svolgono per gli stessi quella funzione di “cura del se” che altre agenzie educative ed istituzioni non riescono più ad assolvere .

I centri sociali autogestiti divengono luogo di crescita etica e assumono una valenza pedagogica perché, a dirla con J. Butler, promuovono e sono all’interno di una costante scena interlocutoria . Nella relazione con l’altro il giovane si espone, si conosce e prende coscienza di se; i dispositivi dell’assemblea , del confronto e dell’antagonismo politico promuovono condizioni per lo sviluppo della soggettività cosi che il giovane si cerca e si individua attraverso una riflessività costante.

“Agli occhi di Foucault, infatti, si tratta di un compito infinito,che non potrà mai assumere una forma ultima e definitiva ; per questo prende di mira ogni idea di progresso e di sviluppo razionale che dovrebbe ipotecare il rapporto riflessivo e condurlo verso una destinazione conclusiva. Il sé è entità che si forma nella storia , ma la storia del sé individuale , la storia dell’individuazione , non è mai qualcosa di dato :qui non c’è spazio per nessuna infanzia , per nessun primato dell’impronta dell’Altro, per nessun racconto o interpretazione della specifica relazionalità per cui un sé allo stadio neonatale dovrebbe sviluppare la sua separatezza , e del prezzo che tutto ciò imporrebbe”  (pag171 J. Butler)

Le criticità rilevate non annullano gli aspetti positivi avviati da questo processo. I dispositivi gruppali , come abbiamo già detto, hanno costituto occasioni di interrogazione e sviluppo di atteggiamenti critici all’interno del gruppo antibroibizionista, come hanno detto gli stessi giovani. Ma , dall’altro, sapremo utilizzare veramente in questo senso le sollecitazioni emerse sul versante del DDP? In altre parole ciò che è emerso è riconosciuto come un patrimonio? Ed è tale per entrambe le istituzioni? Il CSOA riconosce di avere avuto e di avere una occasione importante per sviluppare una riflessione al proprio interno così come abbiamo verificato negli emergenti dell’ultimo incontro; l’istituzione sanitaria riuscirà a fare una riflessione al suo interno in relazione a quanto emerso? Il CSOA riuscirà a portare avanti una relazione proficua con l’istituzione sanitaria o ne sarà schiacciata?

La riflessione e l’attenzione non può essere solo sull’oggetto CSOA , cosa in cui gli operatori sono ampiamente competenti ed addestrati. L’istituzione del DDP deve promuovere una autoriflessione al suo interno affinchè non si stereotipizzi e sclerotizzi così da sviluppare anche negli operatori una soggettività critica e pensante.

E inoltre c’è stata la costruzione del vincolo fra le due istituzioni ? Che tipo di vincolo? Che non sia di dominio o assoggettamento dell’una nei confronti dell’altra? Questa deve essere la nostra tensione etica.  Se riteniamo che l’assunzione responsabile di un ruolo sanitario teso al cambiamento non deve prescindere da una definizione etico politica e da una apertura al cambiamento , ciò deve avvenire non solo verso l’esterno ma anche verso l’interno. Pensiamo che la prevalenza di figure femminili nei “ lavori di cura” e la consapevolezza di questa specificità al femminile possa tutelare da un rischio di assoggettamento e inglobazione . Non ci pare un caso che questo progetto sia stato attivato e promosso da un servizio a forte prevalenza femminile e che le due leaders del CSOA , che parallelamente hanno portato avanti il progetto all’interno del Centro Sociale, siano anch’esse giovani donne seppure ci chiediamo quale sia il loro ruolo , lo spazio ed il potere all’interno del centro sociale.

Dunque se utilizziamo la categoria della Butler sappiamo che l’incontro tra le due istituzioni , tra due soggetti diventa una occasione unica ed irripetibile , è il rapporto tra ombra e luce per costituzione del Sé . La filosofa americana , riprendendo F. Nietzsche, afferma che all’inizio siamo determinati da leggi , regole, norme e consuetudini entro cui siamo nati e cresciuti e, in seguito, ci individuiamo e determiniamo nelle relazioni. Se la pre- condizione per la costruzione di un processo di soggettivizzazione è dunque la scena interlocutoria laddove non c’è interrogazione e non c’è relazione si rimane in una situazione di infantilismo ontologico e sociale.

La produzione di un’identità , di un Sé individuale e collettivo passa attraverso la costituzione si situazioni di interrogazioni che sviluppano la riflessività e la critica come genesi creativa.

“Il fatto è che io divento questo Sé solo attraverso un movimento e-statico che mi sposta fuori di me, in una sfera in cui sono espropriata di me stessa e contemporaneamente costituita come soggetto” pag 153 J Butler.

M Foucault critica la psicoanalisi come discendente storica del “confessionale” , parla di potere pastorale allorché una determinata classe di persone si prende cura delle anime altrui e il cui compito è coltivare moralmente , conoscere e guidare la coscienza degli altri, rappresenta uno strumento di aiuto ma anche di controllo.
Ad un certo punto la J. Butler, riprendendo Foucault, afferma che “ci si espone al discorso autoritario di colui che detiene il potere pastorale “quasi in una sorta di accettazione e rinforzo ad una logica di sudditanza rispetto ad un potere e ad un sapere riconosciuto come superiore.

Nel caso del progetto chi deteneva questo potere ? Se lo deteneva , ne aveva coscienza?

Eravamo e siamo noi operatrici identificabili in nuove sacerdotesse della cura deputate a svolgere il ruolo di controllo oppure possiamo e vogliamo scegliere una posizione di interrogazione e di critica?

Quesiti a cui dare risposte.

D’altra parte se pensiamo che il Sé non deve essere svelato, rivelato , decodificato ma bensì “ si costruisce” mediante l’atto stesso della verbalizzazione , mediante la forza della verità , del “dire vrai” tutto allora assume un altro significato.

Secondo gli autori citati nella psicoanalisi c’è sottesa una ipotesi repressiva allorché c’è una imposizione da parte del potere ma tutti riconoscono, seppure in modo diverso, che c’è una tensione evolutiva allorché si tratta di creare una propria verità attraverso l’atto della verbalizzazione in tal modo sottolineando la forma performativa dell’enunciato stesso.

A nostro parere si colloca in questo punto l’incontro tra le loro teorie e la psicoanalisi nei cui confronti spesso gli stessi sono in opposizione critica e in contrasto.

La sintesi e la “ricombinazione “ tra i diversi contributi teorici ci fanno riflettere sulle motivazioni che sostengono il nostro agire , sia come psicoterapeuti che come agenti di cambiamento all’interno di progetti di prevenzione, nella comunità e nel sociale.

Il processo di promozione di una soggettività all’interno delle istituzioni di cura può avvenire solo quando saremo liberi di accettare la possibilità di farci contaminare e destrutturate per avviare nuovi processi istituenti.

“Il momento relazionale viene a strutturare la narrazione , in maniera che uno parla a , in presenza di, a volte malgrado un altro. Inoltre , il sé non viene rivelato in un momento come questo ma elaborato attraverso il linguaggio in modo nuovo durante la conversazione. In questo scenario del linguaggio , entrambi gli interlocutori scoprono che ciò che dicono eccede , in certa misura, il loro controllo, ma non questo è totalmente fuori controllo. Se il parlare è una forma di agire , e parte di ciò che sta per essere formato è il Sé, allora la conversazione è un modo per costruire qualcosa insieme e diventare diversi ; durante questo scambio si realizzerà qualcosa , ma nessuno saprà cosa o chi si starà formando sino ad opera compiuta.” ( J. Butler pag 205)

In questo momento , essendo un processo aperto , non possiamo trarre conclusioni ma ci auguriamo che questa “tensione”, che ci piace definire “etica” , accompagni i servizi sanitari in ogni loro atto , in ogni loro azione poiché si sviluppi un processo di soggettivazione anche dentro le istituzioni.

Siamo certe che per realizzare ciò diventa imprescindibile un costante atteggiamento critico , dinamico e creativo.

Daniela Barazzoni

Bibliografia

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