Riflessioni sulla conclusione di un contratto di supervisione psicologica alla équipe della cooperativa Cento Fiori.

 

Articolo di Massimo Mari e Paolo Ripanti

L’operare psichiatrico nei servizi per le dipendenze patologiche spesso deve confrontarsi con mandati contraddittori da parte della opinione pubblica. La complessità crescente ed il divenire dei bisogni necessitano di un costante focus attentivo che offra con pertinenza ottiche di inquadramento efficaci ad osservare processi in continuo movimento.

Nella concezione operativa, quando si parla in supervisione di “osservare” intendiamo: apprendere nell’istituzione, gruppo, soggetto osservante la risonanza interna dell’osservato; quest’ultima si discosta più o meno dalla realtà esterna rappresentata a seconda delle ansietà prevalenti del gruppo supervisionato.

La peculiare complessità ed il continuo divenire della domanda obbliga ad una formazione permanente ma discontinua:

  • permanente in quanto le formazioni resistenziali ed inconsciamente collusive tra utenti ed operatori sovradeterminano fatalmente il processo di cambiamento: solo un corretto dispositivo terapeutico di elaborazione permanente in equipe delle dinamiche controtransferali sblocca alcune cronicità di rapporto;
  • discontinua perché il codice comunitario ed i mandati sociali connessi, sempre costituenti lo sfondo implicito dell’operare quotidiano, variando continuamente decentrano il focus istituzionale dai bisogni complessi di persone con problematiche in divenire. Tale focus va periodicamente ricentrato, di conseguenza vanno ricalibrati il compito e l’inquadramento del contratto formativo.

Apparve nel primo anno di supervisione la necessità di approfondire alcuni elementi di raccordo nel governo clinico di una nuova domanda: farsi carico della multiassialità diagnostica ormai scontata in qualsiasi utente che si fosse rivolto alla cooperativa, l’incredibile aumento di complessità dei bisogni governato con la creazione del Centro di Osservazione e diagnosi (COD) accanto alla Comunità al Diurno ed al Rientro creava corridoi terapeutici e nuovi interrogativi ai gruppi di operatori che necessitavano di riformulare un ECRO contemporaneamente più esplicito, più complesso e più flessibili. Non solo per aumentare l’indice di ritenzione al trattamento e la capacità di accoglienza di nuove domande ma anche perchè si fosse potuto disporre di uno strumento di osservazione scientifica più efficace nella lettura multidimensionale della soggettività contemporanea e pertanto più pertinente ad elaborare una vision istituzionale di avanguardia.

Complessivamente, da varie angolature, l’efficacia del primo anno emergeva in alcuni indicatori di processo e più in generale in un clima comunicativo sorprendentemente capace di accogliere contenuti e persone fortemente perturbanti.

Nel secondo anno comparivano nuove problematiche, ovvero l’attenzione dei gruppi si focalizzava su nuovi enigmatici invii e pertanto percorsi favorenti processi di cambiamento/apprendimento personalizzati.

Di molte che ne sono comparse volte a consolidare l’empowerment dell’equipe, una ci è sembrata emergente particolarmente significativo di nuove forme di soggettività che la comunità sociale in cui viviamo determina.

In particolare ci riferiamo all’emergente sociale del “liberismo totale” ed alla figura coerente precipitata nella soggettività individuale che abbiamo definito come “millantatore”. Tale aspetto appartiene, chi più chi meno, a tutti i casi trattati in supervisione, spesso velocemente liquidati sotto la categoria delle psicopatie.

Una situazione clinica di una persona che analizzando le proprie radici avrebbe potuto scegliere se proseguire la propria affiliazione o scegliere nuove appartenenze, ci ha fatto riflettere e studiare più di altri inducendoci ad una analisi sociale che potremmo meglio riassumere utilizzando le parole di Sergio Saviano nel famoso saggio autobiografico “Gomorra”, e dal testo dell’ottocento di De Blasio e Penta “Usi e Costumi dei camorristi”:

La Camorra è un sistema d’imprenditoria economico-criminale composto di clan familiari.

Gli affiliati alla camorra si considerano appartenenti al ‘Sistema': essi non utilizzano il termine ‘Camorra’, non si considerano camorristi, ma imprenditori.

A differenza della Mafia che cerca di sostituirsi allo stato creando una sorta di anti-stato, il camorrista vuole essere organico allo stato con cui ha necessità di fare affari.

Naturalmente quando il rispetto delle leggi non gli permette più facili guadagni, queste verranno infrante, aggirate o corrotte: dunque gli affiliati al Sistema non hanno il problema di creare un anti – Stato, ma di utilizzare ‘un territorio dove si fanno affari con, attraverso o senza lo stato’ (Gomorra di Roberto Saviano).

Per comprendere, dunque, i particolari ‘valori’ del camorrista, la sua educazione, le sue regole di vita, il suo approccio ai problemi è necessario tenere conto di questo contesto sociale e familiare, dove la famiglia costituisce un clan cui si deve rispetto e fedeltà assoluta. Il clan familiare domina, protegge e paga stipendi e pensioni (per i familiari delle vittime degli affiliati al clan per guerre con clan rivali o per quelli che sono in galera e non possono più mantenere la propria famiglia). Il clan punisce tentativi di autonomia e schiaccia qualsiasi tradimento e passaggio a clan rivali o qualsiasi forma di collaborazione con lo stato. Le punizioni che spesso contemplano vere e proprie esecuzioni con torture di ferocia indicibile non sono limitate solo a chi è direttamente ‘colpevole’, ma possono estendersi a tutti coloro che gli sono legati, anche indirettamente o inconsapevolmente.

Per cui si può essere uccisi perché si lavora, anche solo su un livello legale, in un negozio di un boss ribelle, perché si è avuta una conoscenza, una relazione con il figlio di quello stesso boss oppure perché si vive nel suo paese (in quest’ultimo caso c’è un chiaro avvertimento a tutti i compaesani a non tradire, a non passare dall’altra parte).

Esiste, dunque, un contesto sociale e multi-familiare dove le regole sono estremamente rigide ed impositive e che va analizzato utilizzando un’ottica sistemica e gruppale.

Gli individui, una volta entrati a far parte del Sistema, vivono in una dimensione del reale che si fonda su un insieme di regole e valori o meglio di dis-valori che non sembrano condivisibili da esseri umani.

La vita, propria e degli altri, non ha valore: ciò che conta è il potere e il possesso di cose e persone.

Pertanto, per gli individui affiliati al Sistema, sembrano esistere solo due opzioni : chi possiede, chi ha, cioé colui che comanda, vale a dire il boss, e chi deve ubbidire.

I secondi possono diventare autonomi e quindi diventare essi stessi boss sempre più potenti, ma dovranno eliminare con la violenza il boss che lo precede.

Quindi il boss – camorrista è un business man.

E’ destinato alla fine, cioè alla morte o all’ergastolo.

Egli ne è pienamente consapevole, ma è guidato da una volontà spietata di dominio di economie potenti e illimitate.

‘Samurai liberisti’ i boss camorristici sanno che per detenere il potere assoluto dovranno pagare. Lo sanno fin dall’adolescenza quando vengono reclutati dal Sistema.

Scrive un adolescente dal carcere minorile:

Tutti quelli che conosco o sono morti o sono in galera.

Io voglio diventare un boss. Voglio avere supermercati, negozi, fabbriche, voglio avere donne. Voglio tre macchine, voglio che quando entro in un negozio mi devono rispettare, voglio avere magazzini in tutto il mondo.

E poi voglio morire. Ma come muore uno vero, uno che comanda veramente.

Voglio morire ammazzato.

Avere cose materiali per essere qualcuno, per avere un’identità. Possedere delle persone che sono degradate ad oggetti (donne o sottoposti), non essere in grado di stabilire relazioni tra pari dove possano circolare contenuti e affettività, ma solo dominio e sopraffazione.

Dominio e potere. La vittoria economica più preziosa della vita. Di chiunque e persino della propria.

Se anche la vita del boss, ad un certo punto, non conta più significa che queste persone, in realtà, non hanno un’identità in quanto essa si fonda sulla logica dell’avere, che ha dimenticato o non ha mai conosciuto un proprio essere.

Forse per tale motivo l’adolescente che scrive dal carcere minorile lo fa per sentirsi uno vero arrivando poi alla conclusione tragica di desiderare la propria morte per uccisione.

Solo morto potrà essere qualcuno, solo morto avrà la conferma di essere (stato) qualcuno.

Due ragazzi parlano al telefono di capizona, cioé di uomini veri (che essi definiscono ‘morti parlanti’) senza sapere di essere intercettati:

“Sono guaglioncelli, morti parlanti, morti viventi, morti che si muovono… Bello e buono ti prendono e ti uccidono, ma intanto la vita è già persa…”

La logica ed i valori del Sistema camorristico costituiscono un sottobosco culturale che permea la società e si rispecchia nel tipo di educazione che viene impartita ai bambini. Questa educazione, tra l’altro, non è il frutto degenere della colonizzazione culturale della Camorra nei confronti di strati sociali privi di strumenti di decodifica della realtà.

Il dialogo sotto riportato ha per protagonista, ad esempio, lo scrittore Roberto Saviano che viene edotto dal padre, medico-chirurgo sull’essenza dell’essere uomo.

“Robbé, cos’è un uomo con la pistola e senza la laurea? Uno stronzo con la pistola”

“Bravo. E un uomo senza la pistola e con la laurea?” “Uno stronzo con la laurea…”

“Bravo. Cos’è un uomo con la laurea e la pistola?”

“Un uomo, papà”

“Bravo Robertino.”

Dunque i boss camorristici come business-man, l’ideologia camorristica che attecchisce o cerca di farlo anche presso strati sociali dotati di un certo spessore culturale – vedi l’educazione di ‘Robertino’ da parte del padre laureato in medicina e chirurgia – : ma allora la Camorra si evolve da associazione di delinquenti , nata nel 1200, che rubano e ammazzano per strada, per diventare un organismo sofisticato e ramificato, non solo in Campania ed in Italia, ma in tutto il mondo, capace pure di convincere e non solo di vincere. Dunque la Camorra è un moderno ‘Sistema’ vincente?

Questo ci narra in modo sconsolato e quasi disperato ‘Gomorra’, però non bisogna dimenticare che sotto questa vernice di modernità, lo stesso Saviano ci mostra la violenza selvaggia su cui si fonda il potere camorristico.

Lo scrittore De Blasio, in ‘Usi e Costumi dei camorristi’, ci ricorda che l’antropologia criminale già alla fine dell’Ottocento, con Pasquale Penta, aveva individuato nei camorristi non la ‘degenerazione di una razza’ ma, ‘pel semplice fatto dell’ambiente’, un mancato sviluppo dei ‘sentimenti morali’. Continua Penta: si tratta di una ‘mancanza antica’ che non ha permesso lo svilupparsi di un senso civico moderno per cui la società rimane ferma a ‘tappe arcaiche’ dove impera una selezione naturale priva di solidarietà e di protezione per i più deboli e dove contano ‘la forza, l’inganno, la prepotenza’ e soprattutto ‘il forte sentimento dell’io’. Il camorrista comanda su questa società caratterizzata da una ‘natura animalesca’ come un ‘uomo primitivo’ più che come un ‘delinquente nato’.

‘Lanciato nella vita’ da genitori che non vogliono occuparsi di lui, il futuro camorrista inizia a vivere fuori dalla legge che non lo protegge, né lo tutela: impara che ‘i suoi diritti, le leggi, i doveri morali sono in lui soltanto, non fuori di lui; egli è solo e non ha legami con gli altri… ‘Egli è centro a se stesso e al mondo’…’Si sviluppa così l’esagerato sentimento dell’io e quindi la prepotenza’…

Dunque la lettera dal carcere minorile citata da Saviano avrebbe potuto essere già stata scritta cento, duecento, trecento anni fa: aggettivi come arcaico e moderno, rendono ragione della definizione che l’autore di ‘Gomorra’ dà degli attuali camorristi come ‘samurai liberisti’.

Tutto ciò interessa, naturalmente, anche la Psichiatria perché la psicopatologia è il risultato di traumi e conflitti personali che si inscrivono in un contesto multifamiliare e sociale, educativo, economico e culturale che ne plasma l’espressività e di cui è indispensabile tenere conto.

L’alcoolismo, la tossicodipendenza, e tutte le patologie psichiatriche assumono anche un significato di dis-adattamento ad un modello di società di stampo camorristico: i sintomi rappresentano un meccanismo difensivo che permette, a livello psicologico, la sopravvivenza della propria umanità.

PS origini della voce Camorra – Pare che sia derivata dalla compagnia dicta de Camurra, costituitasi a Cagliari nel XIII secolo, per opera dei mercanti pisani, a difesa del paese (vedi anche su wikipedia);

dunque, per alcuni, associazione sorta per contrastare i sorprusi del malgoverno spagnolo (ma ben presto degenerata in associazione a delinquere).

In effetti pare anche che il termine possa derivare da gamurra o gammurra o camurra o camorra, stoffa per confezionare soprattutto ampie vesti da donna in uso nel Medioevo (ma anche corte giacche per gli uomini); sembra che questa vesti fossero molto simili alla chamarra degli Spagnoli: la tracotanza e l’arroganza della soldataglia spagnola avrebbe dato al termine quel significato di prepotenza e sopraffazione che è proprio della Camorra come viene intesa attualmente.

Etimologia è oscura ma per alcuni ca- (cata) è un prefisso che rafforza la parola morra=gregge, banda. Dunque la Camorra è la banda per eccellenza.

Nel millantatore la menzogna acquista in tale contesto di radice culturale l’unico autentico e spontaneo stile relazionale, si viene formati sin da piccoli, per poter sopravvivere, non ad essere ma ad avere, a fare, a mostrare. Ben inteso, bisogna anche contemporaneamente che il millantatore sia sempre in luogo diverso rispetto a quello che in cui ci si mostra per non essere “colpiti” da chi ti vuole “fare fesso”, da chi sin da piccolo colpisce spietatamente la tua autenticità.

In conclusione,

La supervisione ha evidenziato nel primo anno :

per la dipendenza patologica il codice comunicativo efficace è l’allenamento al rispetto delle regole e come dispositivo la comunità terapeutica;

per il lavoro con le parti psicotiche il codice comunicativo efficace è l’accoglienza coerente, la flessibilità, il lavoro in équipe e come dispositivo il COD.

Nel secondo anno:

per il millantatore un codice comunicativo efficace a reincludere socialmente le parti costrette a questa stereotipia relazionale ci è sembrato quello umoristico ed il dispositivo terapeutico coerente quello psicodrammatico (riattivazione del teatro).

Rivedere i film mitici: “Il sorpasso”, “Qualcuno volò sul nido del cuculo”, “Blade Runner”(versione italiana), “Trainspotting”, “La vita è bella” può offrire un percorso coerente artisticamente ben rappresentativo dello sforzo analitico del gruppo di lavoro.

Nella speranza di sopravvivere ancora un po’ ad un contesto sociale dove sempre di più il millantare si sostituisce all’esserci.

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