L’Istituzione: la rottura dello stereotipo in un contesto istituzionale pubblico

Tenterò di affrontare la tematica dell’istituzione dal vertice gruppale, considerando l’istituzione una costante che garantisce un continuum e produce la nostra soggettività e quello sfondo più indifferenziato, sincretico che organizza la nostra personalità.

L’istituzione svolge una doppia funzione: da un lato rappresenta un controllo sociale, definisce il quadro normativo e l’organizzazione, dall’altro svolge una funzione di contenitore, in cui vengono depositate le parti più immature, regressive e indifferenziate della personalità.

Questa doppia funzione permette all’istituzione di dare continuità e proteggere l’individuo da fratture e contemporaneamente di rappresentare uno strumento di organizzazione della personalità.

Nel pensiero comune l’istituzione viene rappresentata come una organizzazione statica, un insieme di regole e norme immutabili e con obiettivi predeterminati, in cui i ruoli e le gerarchie sono fisse e stereotipate. Su questo tipo di idea di istituzione, come dice Bleger, “prevale la burocrazia, l’automatizzazione, la stereotipia nei processi di apprendimento e/o terapeutici, fino ad attaccarli, fino a negare la finalità per la quale sono state fondate”.(1)

In una parola prevalgono più gli aspetti alienanti e l’istituito domina sull’istituente.

Invece noi concordiamo con Castoriadis che definisce l’istituzione un processo dialettico, “una continua tensione tra istituito e istituente”.

Ci rendiamo conto che l’istituzione non soltanto svolge una doppia funzione, ma è presente anche un doppio livello.

La parte della normativa, delle regole , delle procedure e dell’organigramma rappresenta l’aspetto manifesto, invece le modalità di aggregazione dei soggetti che transitano nell’istituzione, la costruzione dei legami e come questi vengono attaccati, il tipo di appagamento che trovano i desideri e come vengono tollerate le frustrazioni; il modo in cui i soggetti vengono attraversati dall’istituzione stessa fino a determinarli, rappresentano gli aspetti latenti o istituenti.

Le istituzioni non sono immutabili, vi sono nuove leggi che cambiano i compiti istituzionali, che modificano i compiti di un gruppo o di alcuni servizi. Ogni gruppo non è statico, in ogni gruppo di professionisti o di equipe entrano ed escono vecchi e nuovi operatori, cambia la dirigenza. Queste situazioni producono cambiamenti, modificano vincoli, definiscono differenti ideologie e forme di potere, eppure c’è sempre una resistenza a percepire il cambiamento, ad avere una visione ed una comprensione di tipo flessibile e processuale.

Ogni istituzione crea un posto, uno spazio immaginario che va al di là degli stessi individui e i suoi effetti si possono vedere a livello delle rappresentazioni sociali, del sistema delle credenze e a livello comunitario.

Pichon Rivière e Bauleo in “Psicoterapia multipla e istituzionale” (Argentina 1964) lavorano sul concetto di istituzione considerandola uno strumento di lavoro e analizzano come nella relazione intergruppale si mette in gioco il vincolo tra gruppo interno e gruppo esterno nel qui e ora gruppale . Sviluppano una linea di pensiero in cui l’istituzione non è un elemento esterno ed estraneo, ma l’istituzione viene pensata come aspetto interno ai soggetti stessi.

L’istituzione perciò non risulta essere un ente o una organizzazione a se stante, svincolata dai soggetti da cui è costituita e a cui si rivolge, ma è plasmata a partire dai rapporti di reciprocità fra istituzione-utente, istituzione-operatori e operatori-utente.

Infatti l’idea di istituzione che hanno i professionisti influisce sulla richiesta che fa l’utenza e a sua volta produce degli effetti sull’immaginario sociale della comunità.(2)

Possiamo pensare a come l’offerta può modificare la domanda espressa degli utenti a partire dalle condizioni di possibilità che hanno gli operatori di:

  • creare uno schema di riferimento in comune
  • mettere in gioco emozioni e professionalità
  • fare circolare l’informazione e la sua distribuzione all’interno dell’equipe

Inoltre, per comprendere come il vincolo agisce, sarebbe importante analizzare come giocano le fantasie dell’ammalarsi e della cura da parte degli utenti, ma anche sarebbe utile analizzare le fantasie degli operatori sull’utenza e sull’istituzione:

  • che tipo di utenza produce un certo tipo di istituzione
  • che tipo di offerta fa l’istituzione e come questa modifica la domanda

Quando Bleger parla di istituzioni sottolinea soprattutto il grado di dinamica che deve essere presente.

Il miglior grado di dinamica di una istituzione , afferma, non è dato da assenza di conflitti ma dalla possibilità di renderli espliciti, gestirli e risolverli; cioè dipende dalla capacità delle persone di poter assumere i conflitti nel corso dei loro compiti e funzioni.

Una delle difese istituzionali per eccellenza di fronte al conflitto è lo stereotipo, quindi una delle funzioni maggiori è sempre quella di rompere lo stereotipo ed esplicitare il conflitto.

Porterò come esempio di rottura dello stereotipo e dell’esplicitazione del conflitto, una esperienza realizzata alcuni anni fa con un gruppo di insegnanti delle scuole medie superiori.

 La rottura dello stereotipo in un contesto istituzionale pubblico

 Analisi della domanda: aspetti transferali e controtransferali

L’occasione per questa esperienza si presentò a partire da una richiesta di aggiornamento sulla condizione adolescenziale per l’educazione alla salute nella scuola, fatta da parte di una insegnante referente delle scuole medie superiori statali.

Durante un incontro preliminare con una ventina di insegnanti interessati, è stata fatta una prima analisi della Domanda. In questo primo incontro si è evidenziata l’esigenza di una esperienza centrata su se stessi, che possa consentire un rapporto più fiducioso con gli allievi anche in presenza di argomenti ad alta valenza affettiva, come quelli collegati alla sfera sessuale.

Il conflitto centrale è stato espresso soprattutto riferendosi a quando, ricoprendo il ruolo di educatori e formatori, gli insegnanti si trovano a dover gestire il loro coinvolgimento personale e quello degli allievi, circostanza inevitabile in presenza di contenuti che direttamente collegano l’apprendimento all’esperienza corporea, emozionale ed interpersonale.

Già nell’incontro preliminare per accogliere la Domanda, si è evidenziato uno scarto tra questa richiesta manifesta e la modalità transferale agita nei confronti degli operatori, dai quali gli insegnanti si aspettavano di ricevere subito informazioni, riproducendo il modello istituzionale di apprendimento (in questo caso il modello scolastico).

Probabilmente la richiesta degli insegnanti corrispondeva ad una idea meccanica di apprendimento, in cui c’è qualcuno che ha e che dà ed un altro che riceve passivamente.

Questo modello si basa su delle informazioni di tipo nozionistico, tecnico fornite da esperti, come d’altronde gli insegnanti erano abituati a ricevere dagli operatori dell’AULSS.

Tale modalità, infatti, è ampiamente condivisa e consolidata nella pratica quotidiana dei Servizi Territoriali Socio-sanitari e corrisponde, quindi, ad una idea di apprendimento interiorizzata, su cui si basa la nostra stessa Identità-Appartenenza.

La fantasia iniziale degli insegnanti era quella che l’”aggiornamento” iniziasse da subito, già nell’incontro preliminare. Nell’elaborare questa fantasia iniziale abbiamo dovuto tenere conto della necessità di pensare a come strutturare una strategia di intervento che favorisse soprattutto la rottura dello stereotipo sul modello di apprendimento di tipo scolastico.

D’altra parte la nostra necessità era di poter pensare ad un modello di intervento diverso che, non negando il conflitto, consentisse uno spazio di lavoro diverso dalla modalità burocratico-istituzionale della prescrizione-prestazione.

Abbiamo trovato molto interessante poter pensare ad una modalità di apprendimento che non fosse meccanica, ma che attraverso l’esperienza producesse una nuova e diversa elaborazione della conoscenza, lavorando proprio con un’istituzione ufficialmente preposta all’apprendimento, all’educazione e alla formazione.

A partire dalla nostra implicazione istituzionale, cioè in qualità di dipendenti di una istituzione pubblica preposta alla cura e alla promozione della salute, abbiamo valutato che la complessità della richiesta la si doveva analizzare insieme ad altri professionisti appartenenti a diversi Servizi Territoriali dell’Azienda ASL, in particolare dell’aria Materno Infantile.

Analizzando le risorse professionali-istituzionali a disposizione si è giunti alla necessaria costituzione di una “equipe” allargata, che non coincideva più con il servizio di appartenenza inizialmente interpellato(Consultorio Familiare). Questa equipe allargata era costituita da psicologi, ginecologi e un neuropsichiatra e si configurava come una equipe trasversale e funzionale.

Trasversale in quanto comprendeva operatori di due Consultori Familiari e del servizio di Neuropsichiatria Infantile.

Funzionale in quanto costituita in relazione al compito di effettuare un aggiornamento.

Questa equipe trasversale-funzionale ha promosso un “altro spazio” e si è costituita come un “luogo altro” dalle proprie appartenenze istituzionali. Un posto decentrato che funziona da “interstizio” per poter dare un senso, un significato a quello che veniva richiesto dal gruppo di insegnanti e dare una significazione anche agli aspetti latenti del conflitto portato dagli stessi.

Inoltre dovevamo trovare una diversa modalità di operare e di intendere l’apprendimento-formazione.

Questa nuova equipe si costituiva per poter passare dalla richiesta inizialmente formulata all’analisi della Domanda; questo passaggio è stato realizzato attraverso un dispositivo gruppale. L’elaborazione gruppale era indispensabile per poter contenere ed elaborare le fantasie di disgregazione, dovute alla rottura dello stereotipo sul modello di apprendimento di tipo scolastico.

Per noi operatori dei servizi dell’AULSS significava anche sottrarsi alla logica delle “competenze istituzionali”, che sanciscono precise divisioni tra i servizi indipendentemente dal compito e dalle funzioni.

Anche se da una parte, questa nuova modalità operativa ci entusiasmava e ci faceva lavorare intensamente, dall’altra proprio su questi elementi di novità, ci siamo trovati a sentire molte tensioni e resistenze, per gestire numerose difficoltà emerse in relazione sia all’’equipe traversale appena costituita, sia alle equipes di appartenenza istituzionale.

Infatti la possibilità aperta da questo intervento di uscire fuori dal ”limite” fissato istituzionalmente, ci ha obbligato a ripensare ai luoghi, agli spazi e ai compiti anche all’interno delle proprie appartenenze, che giocavano resistenzialmente come istituzioni inconsce. Dovevamo rifare i conti con i nostri schemi di riferimento e le potenzialità di ognuno di noi.

Questo ha comportato un impatto molto forte: si è aperto un conflitto con i servizi di appartenenza, che in alcuni momenti ha cambiato la nostra stessa idea di equipe. Ci siamo trovati di fronte alla necessità di rivedere le nostre identità professionali ed anche le nostre appartenenze, con un livello di sofferenza legato alla paura della perdita del nostro ruolo istituzionale e dell’attacco degli altri operatori. Ci siamo dovuti misurare con sentimenti di esclusione, con momenti di aggressività e di rivalità, con conflitti aperti e con la consapevolezza della messa in moto di un processo.

In questi momenti è stata di fondamentale importanza la supervisione esterna.

Attraverso la supervisione abbiamo analizzato la nostra parte controtransferale, che agiva inconsciamente come resistenza al cambiamento. Abbiamo potuto collegare quello che Loureau chiama “ il fuori testo”, cioè tutti quelli aspetti latenti, taciuti sulle complicità tra colleghi, funzionali ad un adattamento parassitario all’interno dell’istituzione, piuttosto che ad un atteggiamento attivo al cambiamento.

È stato soprattutto attraverso la rottura di alcune complicità, basate più su una logica familiaristica, che abbiamo potuto articolare la nostra motivazione a percepire la difficoltà e la carenza di integrazione interna alle nostre equipe.

La consapevolezza di questi limiti è stata la spinta per creare una diversa modalità di operare e di elaborare un altro spazio di pensiero, che contempli l’idea del conflitto, a partire dal nostro schema di riferimento operativo(E.C.R.O.).

Vale a dire, in che modo mettere insieme le idee, i frammenti affettivi, i toni dell’umore, le esperienze, i diversi schemi di riferimento che ci segnalano maggiormente gli aspetti della diversità e della rivalità, e come questi diversi aspetti possono arricchire, articolare e sviluppare, anziché ostacolare il nostro compito comune.

Restava il problema di pensare come introdurre un dispositivo per elaborare i vissuti legati alla richiesta iniziale che ci era stata espressa dagli insegnanti, e di scoprirne la motivazione di base.

Abbiamo scelto il dispositivo gruppale, per avviare il processo di elaborazione della triangolazione apprendimento-affettività-cambiamento latente nella sessualità, perché il gruppo nel suo vincolo con il compito è il luogo dove è possibile osservare l’intergioco tra necessità e appagamento e o frustrazione della necessità nel rapporto interpersonale. L’inquadramento proposto comprendeva otto incontri a cadenza mensile: una prima ora di informazione e due ore di gruppo coordinato da un coordinatore ed un osservatore, con lettura di emergenti basata sulla concezione operativa di gruppo.

Il compito definito era quello di lavorare sull’informazione e sugli aspetti emozionali che questa avrebbe suscitato. Il numero di partecipanti era fissato dall’inizio.

Nel percorso gruppale si è potuta comprendere ed evidenziare la portata e lo spessore della richiesta formulata inizialmente; installato il dispositivo, fin dalla prima seduta nel gruppo, attraverso una modalità avida di accostarsi all’esperienza(quasi a ribadire la richiesta espressa nell’incontro preliminare), si è prodotto un grado di ansietà elevato.

Nei primi momenti l’esperienza gruppale è stata connotata dalla perentorietà della richiesta, dall’impossibilità di sopportare la tensione affettivo-emotiva del percorso di elaborazione e dal costante tentativo di negare onnipotentemente la richiesta stessa.(3)

Infatti il primo emergente del processo gruppale viene espresso da un membro del gruppo(sacerdote), il quale paragona questa nuova modalità di apprendimento-formazione ad una iniziazione: “mi sembra di essere in un rito tribale di iniziazione”; dopo aver affermato questo il sacerdote esce dal gruppo, impossibilitato a sopportare l’ansietà del non conosciuto, prodotta dal processo di apprendimento-cambiamento.

Le resistenze al cambiamento nell’esperienza gruppale sono emerse attraverso movimenti difensivi caratterizzati da attacchi massicci espressi con modalità essenzialmente di natura corporea(fuga, vomito, ecc.); l’adesione agli elementi costitutivi del dispositivo gruppale(setting, compito, ecc) ha permesso al gruppo di depositare gli aspetti più indiscriminati e arcaici e di elaborare e significare i meccanismi difensivi, accrescendo la capacità di sopportare le tensioni collegate alla rottura degli stereotipi.

Note e bibliografia

1- J. Bleger “Psicoigiene e Psicologia istituzionale”, Libreria Editrice Lauretana, Loreto.

2-Castoriadis: definisce “L’immaginario Sociale” come la capacità originale di produrre e di mettere in opera dei simboli che, nell’ordine sociale, sono legati alla storia e alla sua evoluzione. In tal senso l’immaginario è l’attribuzione di significati nuovi a simboli già esistenti. L’immaginario sociale, con la necessità dell’organizzazione e della funzione, sta all’origine dell’istituzione e alla base dell’alienazione.

3- Pichon Reviere “Teoria del vinculo”, Edizione Paidos, Buenos Aires.

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