Religione, Spiritualità e Disturbo da Gioco d’Azzardo

S.T.D.P.  Senigallia
Direttore: Dott.ssa Marella Tarini

Relatori:
Dott.ssa Francesca Silvestrini
Dott. Edoardo Ballanti

La fatica di Sisifo II Giornata dell’AV2 dedicata al Gioco d’Azzardo Patologico DISTRUZIONI/COSTRUZIONI: Dare senso all’agire del giocatore

Sollecitati dal titolo di questo convegno Distruzioni/Costruzioni, e dall’indicazione suggerita al nostro intervento riguardante il dare senso all’agire del giocatore e al gioco d’azzardo, ci siamo posti in un’ottica di esplorazione, riflessione e ricerca, non sapendo esattamente cosa saremmo andati a trovare.

Il tema del significato evoca numerose domande, solleva riflessioni e pone interrogativi. Ci interroga sul significato del sintomo, influenza la nostra concezione della malattia, del recupero e della guarigione, riguarda noi in veste di curanti ma riguarda anche i pazienti e le famiglie, immaginate come microcosmi, comunità con la loro specifica epistemologia, all’interno delle quali il sintomo genera un significato o lo incarna o svolge la funzione di attribuzione di un ruolo. Per questo diventa necessario farsi interpreti, attraverso un lavoro ermeneutico, per evitare spiegazioni generaliste o peggio ancora riduzioniste.

Interrogarsi sul significato del sintomo può divenire allora interrogare il sintomo stesso per forzarlo a rivelarci il suo senso; o cercare il senso, in termini esistenziali, di un comportamento che è insieme distruttivo e costruttivo.

Occorre riconoscere le radici del disturbo da gioco d’azzardo e l’immensa sofferenza sia del giocatore patologico sia dei familiari e dei partner, sofferenza che in molti casi era presente già prima che il problema di gambling avesse inizio. Così possiamo dire che la patologia del gioco è solo la punta dell’iceberg, un sintomo che è più una richiesta di aiuto, un grido da parte del giocatore che si trova inestricabilmente invischiato e irretito nella trama di un sistema socio-economico e familiare, sia passato sia presente, di cui è parte.

Si può valutare la salute mentale in termini di qualità del comportamento individuale in rapporto all’ambiente sociale, in quest’ottica (che pone al centro la relazione), il comportamento, il suo modo di dispiegarsi e prodursi, così come il suo deteriorarsi, sono legati a fattori d’ordine socio-economico e familiare. Il malato è portavoce dei conflitti e tensioni della famiglia, per essa svolge il ruolo di depositario degli aspetti alienati della struttura sociale più ampia, facendosi portavoce dell’insicurezza e del clima d’incertezza. Tutti questi fattori presi insieme determinano, in positivo o in negativo, la possibilità di adattamento alla realtà: possibile quando la relazione con il contesto avviene sulla base di un vincolo creativo, impossibile quando questo è coercitivo.

Qui la domanda sul significato si fa domanda anche sul senso della cura. Che cosa curiamo e che cosa possiamo curare? Che cosa vuole essere curato? Cosa c’è bisogno di curare?  Quando nasce la richiesta di aiuto da parte del giocatore? Spesso nella pratica vediamo che il giocatore non sente il disturbo come una malattia, bensì come una soluzione.

Certamente vanno curate la profondità delle ferite e la storia traumatica del giocatore patologico, vanno curate le cicatrici nei partner e le gravi fratture nella relazione di coppia. Così come andrebbero pensate strategie di cambiamento della struttura socio-economica di cui il malato è Emergente. Pensiamo che la guarigione passi attraverso l’assegnazione di un nuovo ruolo, quello di agente del cambiamento, che chiede a noi stessi di trasformarci, divenendo per primi agenti del cambiamento.

L’obiettivo non è quindi limitato all’astinenza o alla riduzione del danno, ma si estende oltre, puntando all’apertura di una riserva di risorse psicologiche e sociali, sia del giocatore sia delle sue relazioni, ripristinando un legame creativo con il contesto e la comunità. Per rimpiazzare il gioco patologico e le funzioni che esso svolge, bisogna intuirne il senso. L’effetto finale del cambiamento sarà allora, non il tentativo di modificare un comportamento, ma vedere la relazione tra comportamento e contesto, svelandone i nodi insolubili e le contraddizioni patogene. Fare questo richiede un cambiamento di secondo ordine, un imparare a imparare che è un imparare a pensare, che investa l’intero sistema di cui il giocatore è parte coinvolta in modo centrale.

La letteratura e la ricerca sul gioco d’azzardo sono prevalentemente incentrate sulla patologia o sull’impatto socio-economico, sulla prevalenza del problema e sui modelli patologici, spesso estraniando le persone dai contesti in cui si svolge il gioco, riflettendo una epistemologia occidentale dominante, e non riuscendo ad approfondire la nostra comprensione dei discorsi sociali ed esistenziali, che costituiscono il contesto in cui i giocatori danno significato, o ricercano un significato, dal loro giocare d’azzardo.

 

ESPERIENZA CLINICA

Non molto tempo fa, si presenta presso l’STDP di Senigallia il Sig. L., chiedendo una presa in carico per un problema di gioco d’azzardo di lunga data. Il Sig. L. comincia a raccontarci la sua storia, fatta di tante storie: una carriera nelle forze armate, incarichi importanti, missioni sia in Italia sia all’estero, campi di battaglia, il confronto con la morte, l’avere ucciso. Il suo lavoro lo porta a trascurare la famiglia, la moglie, i figli. Il gioco d’azzardo sembra essergli sempre appartenuto. A fatica riesce a individuare un punto d’inizio, ma riconosce che il bisogno di giocare diventava più impellente nei momenti di crisi, con i problemi legali, con le ingiustizie che sente di subire e per le quali non ha sufficienti strumenti e forza di opporsi. Disperde tutti i suoi risparmi, tanti soldi poiché i suoi guadagni sono elevati. Non è intaccato il patrimonio della famiglia, che prova molta rabbia e lo espelle. La moglie prima lo butta fuori di casa poi lo riprende. Ora il Sig. L. tenta di ricucire i rapporti deteriorati, anche se non sa come fare. Cerca di farsi riaccogliere dalla moglie e dai figli, in modo incerto, considerata l’estrema difficoltà di contattare e comunicare le proprie emozioni. Curarsi è per lui una conditio sine qua non posta dalla moglie: un lasciapassare da presentare per il rientro a casa.

Già da qui sembra configurarsi ai nostri occhi un quadro riconoscibile, una personalità con tratti narcisistici, la ricerca di sensazioni forti, un disturbo da stress post traumatico, impulsività, senso di colpa, uso costante di cannabis: il disturbo da gioco d’azzardo potrebbe essere interpretato in questa cornice come una difesa appresa per sfuggire, dissociare, alleviare o evitare le memorie traumatiche e gli elevati livelli di stress attuale.

Ma il Sig. L. porta con sé altre storie. Veniamo a sapere dal suo racconto la storia della madre che quando L. era ancora bambino si ammala di una malattia terminale. Era l’inizio degli anni 80, anni in cui avvenivano le prime apparizioni mariane nella città di Medjugorie in Bosnia. Sentendo la notizia in televisione e alla ricerca di un ultimo appiglio di speranza, la famiglia si avvia a intraprendere un viaggio verso quello che allora era un semplice e sconosciuto villaggio di contadini e pastori sulle colline della Bosnia-Erzegovina. Durante quel viaggio avviene qualcosa d’inaspettato che cambia per sempre le sorti della famiglia. La madre di L. ottiene quella che viene definita una guarigione miracolosa. Una delle poche guarigioni miracolose ufficialmente riconosciute dalla Chiesa Cattolica. La storia della famiglia va incontro a un cambiamento imprevisto e imprevedibile, il miracolo è la svolta, la prima grande vincita, la divinità entra in scena intervenendo sulle sorti drammatiche che apparivano tracciarsi in un destino segnato. La madre diventa l’eroina che ha sfidato e vinto il destino. Il padre abbandona gradualmente il suo lavoro di piccolo imprenditore e artigiano, dedicandosi interamente, insieme alla moglie, all’attività di servizio. La famiglia si trasferisce per lunghi periodi a Medjugorie, organizzando pellegrinaggi. La madre di L. entra in contatto con alte sfere dell’Istituzione Ecclesiastica, che penetra in modo importante e duraturo nella vita e nella storia della famiglia, arrecando onore e prestigio sociale.

Sotto questa luce anche la storia di vita del Sig. L. sembra incarnare il mito dell’eroe.

Com’è andata avanti la storia del Sig. L. dopo tutto questo?

Verso la moglie il Sig. L. nutre oggi un sentimento d’indifferenza, non pensa la separazione e rifiuta l’espulsione. Si sta battendo per rientrare all’interno della famiglia. Il discorso non apre porte sulle sue emozioni, non ci sono né tenerezza né calore, soltanto la volontà di appartenenza a un nucleo familiare. Della moglie lamenta le credenze e l’adesione a gruppi d’evoluzione e sviluppo spirituale, che le fanno adottare un comportamento che giudica irrazionale, fatto di rituali per attirare verso di sé e verso la famiglia influenze positive e benefiche. Il Sig. L. non si sente libero quando è in casa e ne è profondamente irritato. Questa visione del mondo, secondo lui, ha influenzato anche l’educazione dei figli, verso i quali sente che come genitori non hanno alcuna presa educativa.

La descrizione fatta della scena familiare mette in luce un quadro d’isolamento, uno stare insieme ma isolati, ognuno preso in una personale attività di estraniazione che lo cattura e lo aliena dal contesto e dalla comunicazione. Con rabbia il Sig. L. porta questa sua considerazione e quest’istanza, lamentandosi di essere additato come “quello dipendente”, in una famiglia in cui tutti hanno una loro dipendenza.

Il forte ruolo rivestito da religione, spiritualità e rituale all’interno di questo nucleo familiare, ci ha fatto interrogare sul legame tra religione/spiritualità e gioco d’azzardo, per approfondire in questa direzione l’interrogativo sul senso e sul significato: intesi come l’umana ricerca di un senso che possa collocare l’esperienza vissuta all’interno di un quadro fonte di significato, identità, scopo e realizzazione nella vita individuale, culturale e sociale.

Di per sé questa non è una cosa nuova: Freud attribuiva a religione e gioco d’azzardo la funzione di fornire alle persone un senso di controllo sul destino, e suggeriva che l’azzardo potesse agire come sostituto della religione. Marx sosteneva che le religioni hanno una funzione molto importante nella vita, dando conforto psicologico per l’incertezza e la paura della morte.

Allo stesso modo il gioco d’azzardo ha radici profonde nei rituali religiosi e molte forme di spiritualità ne sono intessute. Tradizionalmente, il gioco d’azzardo ha avuto origine da rituali religiosi e dalla ricerca di esperienze spirituali, per cui questo nesso appare evidente e il rituale ne è il comune denominatore.

Questi pensieri ci hanno fatto incuriosire e allora ci stiamo interessando alla letteratura sul gioco d’azzardo nelle popolazioni native: aborigeni australiani, indiani d’America e Canada. In queste culture tradizionali l’azzardo era spesso presente già prima della colonizzazione e aveva aspetti sia sacri sia secolari. Il gioco era usato per scopi religiosi e di cura, per la divinazione e la risoluzione delle controversie, per la redistribuzione della ricchezza e la ricreazione. Gli obiettivi secolari del gioco tra i nordamericani nativi erano il divertimento e il guadagno, ma il “gioco sacro” era investito di una funzione simbolica in cui l’ordine cosmico era incarnato e mantenuto. Associato a miti, cerimoniali, e pratiche rituali con funzioni divinatorie e magiche, rappresenta il desiderio di assicurarsi la guida dei poteri naturali da cui l’essere umano è dominato.

Da una prospettiva occidentale il gioco d’azzardo riguarda i soldi. Dalla prospettiva dei nativi Blackfoot la promessa di una “grande vincita” di denaro ha il suo peso, ma la promessa di prestigio o merito è ancor più significativa, e in essa viene incarnato il viaggio dell’eroe, esemplificato nel Napi, eroe archetipico della loro cultura.

Le narrative esplorate negli studi da noi passati in rassegna suggeriscono che il gioco d’azzardo tra i popoli Blackfoot contemporanei è un’attività in cui gli individui cercano prestigio, in un mondo sempre più secolare, in cui hanno uno status marginale.

Queste osservazioni suggeriscono che i giocatori, inconsciamente, giocano miti non esaminati. Alla base delle distorsioni cognitive ci sono delle strutture mitiche inconsce che riflettono epistemologie, o modi di conoscere, che danno significati simbolici ad azioni, oggetti e persone.Lo studio che stiamo citando (McGowan et Al., 2004) sostiene l’opinione che i contesti culturali, storici ed esperienziali, modellano i significati attribuiti all’esperienza di gioco. Le differenze nell’esperienza soggettiva del gioco d’azzardo, nel gioco d’azzardo problematico, nel recupero e nella guarigione, sono evidenti tra le generazioni all’interno delle comunità di Blackfoot, così come tra nativi e non nativi. Sempre più nativi stanno costruendo significati e cercando soluzioni per il gioco d’azzardo e altri problemi nel contesto della spiritualità tradizionale, ricercando identità culturali tracciate nelle loro tradizionali visioni del mondo.

Il terapeuta può aiutare a riconoscere le distorsioni cognitive e le credenze irrazionali, ma questo non tiene conto dei contesti sociali o culturali del gioco d’azzardo o delle differenze di sistemi di senso.

Cit: “Le tradizionali visioni occidentali del gioco d’azzardo suggeriscono che la risoluzione del problema del gioco d’azzardo avviene attraverso un processo chiamato “recupero” (recovery) in cui gli stati dell’essere prima scartati, distrutti o trascurati, come l’occupazione lavorativa, la proprietà e le relazioni con gli altri sono ricostruiti. Al contrario, la risoluzione del problema del gioco d’azzardo tra i Blackfoot è descritta in modo più accurato, attraverso processi di guarigione (healing) mediati da credenze e pratiche tradizionali. Come sottolineato da un consulente sulle dipendenze di origine Blackfoot, il “recupero” di ciò che non avete mai avuto (come una occupazione stabile, proprietà, relazioni genitori-figli) non è semplicemente possibile per molte persone colonizzate”. (McGowan et Al., Sacred and secular play in gambling among Blackfoot peoples of Southwest Alberta)

Suggeriamo quindi di tenere in considerazione l’importanza del contesto in cui il significato si genera, contesto che ha una sua epistemologia che informa di sé il processo della malattia come quello della cura.

“In contrasto con l’idea forse ristretta di una ristrutturazione cognitiva e con l’enfasi sul recupero che è il segno distintivo della psicoterapia, la guarigione tradizionale indigena sottolinea il raggiungimento dell’equilibrio tra le quattro dimensioni della natura di una persona (mentale, fisico, emotivo, spirituale). Piuttosto che attraverso un codice di pratica prescrittivo, questo viene raggiunto attraverso vari mezzi in base a contesti altamente situazionali e, a volte, a pratiche idiosincratiche. L’obiettivo è il ripristino del benessere, inteso come armonia restaurata secondo una legge d’interconnessione tra l’individuo in relazione con sé, la famiglia, la comunità, il mondo spirituale e l’ambiente fisico. L’armonia restaurata è intesa come espressione di una guarigione più profonda che è “la fonte del significato, dell’identità, dello scopo e della realizzazione nella vita” (McGowan et Al., Blackfoot traditional knowledge in resolution of problem gambling: getting gambled and seeking wholeness).

 

Bibliografia

Enrique Pichon-Riviere, Il processo gruppale: Dalla psicoanalisi alla psicologia sociale, Editrice Lauretana, 1985;

Helen Breen & Sally Gainsbury, Aboriginal Gambling and Problem Gambling: A Review, Int J Ment Health Addiction (2013) 11:75–96 DOI 10.1007/s11469-012-9400-7;

Virginia M. McGowan, Gary Nixon, Blackfoot traditional knowledge in resolution of problem gambling: getting gambled and seeking wholeness, Canadian Journal of Native Studies XXIV, 1 (2004):7-3;

Virginia McGowan, L. Frank, G. Nixon, M. Grimshaw, Sacred and secular play in gambling among Blackfoot peoples of Southwest Alberta, Culture & the Gambling Phenomenon, 241;

Elisabeth Gedge, Deirdre Querney, The Silent Dimension: Speaking of Spirituality in Addictions Treatment, Journal of Social Work Values and Ethics, Volume 11, Number 2 (2014);

Stephen Louw, African numbers games and gambler motivation: ‘Fahfee’ in contemporary South Africa, Article  in  African Affairs · January 2018;

Robert Grunfeld, Masood Zangeneh, and Lea Diakoloukas, Religiosity and Gambling Rituals, in M. Zangeneh, A. Blaszczynski, N. Turner (eds.), In the Pursuit of Winning, Springer 2008, capitolo 9.

Peter Ferentzy, Wayne Skinner, Paul Antze, The Serenity Prayer: Secularism and Spirituality in Gamblers Anonymous, Journal of Groups in Addiction & Recovery, 5:124–144, 2010;

Clarke, S. Tse, M. Abbot, S. Townsend, P. Kingi, W. Manaia, Religion, Spirituality and Associations with Problem Gambling, New Zealand Journal of Psychology  Vol. 35,  No. 2,  July 2006;

Keehan Koorn, The Roles of Religious Affiliation and Family Solidarity  as Protective Factors against Problem Gambling Risk in a Métis Sample, A Thesis Presented to The University of Guelph, In partial fulfilment of requirements for the degree of Master of Science in Family Relations and Applied Nutrition, Guelph, Ontario, Canada, © Keehan Koorn, August, 2011

Gary Nixon and Jason Solowoniuk, A Transpersonal Developmental Approach to Gambling Treatment, in M. Zangeneh, A. Blaszczynski, N. Turner (eds.), In the Pursuit of Winning. 211 C springer 2008, capitolo 13.

This entry was posted in Uncategorized. Bookmark the permalink.