Introduzione al concetto di Istituzione: due lezioni di Federico Suàrez

Cercherò di parlare di istituzione dal punto di vista della Concezione Operativa di Gruppo.

Bauleo (1987) fa riferimento a tre dimensioni del concetto di “istituzione” nella nostra storia:

  • la psicologia degli ambiti

  • l’istituzione come strumento terapeutico

  • l’idea operativa della istituzione come “gruppo di gruppi”

Approfondiamo ognuna di esse.

Psicologia degli ambiti

Apro una piccola parentesi:

Il concetto di ambiti è di Pichon Riviere; però sarà Bleger colui che formulerà il disegno o schema a forma di “cozza”. Un primo schema compare nel 1963 in Psicologia della Condotta per poi, tre anni più tardi (in Psicoigene e Psicologia Istituzionale del 1966) essere ampliato ai quattro ambiti.

Più recentemente Leonardo Montecchi propone di prendere in considerazione un quinto ambito, l’ambito della “società” o “globalizzazione”. Credo che l’ambito comunitario sia stato sempre poco chiaro. Lo stesso Bleger riconosceva che esso si riferisce sia al quartiere che alla città o alla regione oppure alla nazione o ad un’insieme di nazioni. Nonostante ciò Bleger sembra voler limitare l’ambito in funzione delle potenzialità d’intervento dello psicologo-non disponiamo di strategie per intervenire sul mondo.

Se pensiamo a questo nuovo ambito -“e”- come produttore di rapporti che possono essere determinanti sui diversi paesi, come fonte di un immaginario globale che detta le sue leggi sul mondo (o, quanto meno, alla parte del mondo alla quale appartiene il nostro) allora, effettivamente, dobbiamo dire che lo schema a quattro ambiti risulta leggermente datato. Lo schema dei quattro ambiti non riflette la realtà del mondo attuale già che nel momento in cui fu pensato non esisteva lo sviluppo globale che oggi conosciamo, non si era ancora verificata la globalizzazione capitalista oppure la fase imperialista del capitalismo (Lenin) anche se, teoricamente, questo momento si sarebbe potuto prevedere.

Tornando allo schema…..

Per noi Psicologia Sociale vuol dire che la soggettività degli individui è una produzione sociale.

Questo schema presenta l’istituzione come un ambito di mediazione o passaggio (lo è anche l’ambito grippale) nella relazione individuo società.

La nostra vita si svolge nei gruppi e nelle istituzioni. Attraverso di essi la società ci trasmette valori, norme e, come dice E. Lizcano, ci dà anche metafore per pensare il mondo e la vita; metafore che in realtà ci consentono di pensare noi stessi. E’ in questa dialettica che si va costituendo la nostra soggettività.

Lo schema mira a rappresentare un’idea di globalità e di unitarietà dei fenomeni umani. Gli ambiti rappresentano le diverse dimensioni in cui può essere preso in considerazione lo stesso fenomeno; nonostante ciò si tratta sempre di “scissioni artificiali” di una stessa realtà.

E’ interessante pensare ai diversi ambiti tenendo presente come ognuno di questi incida in maggior o minor misura nella costruzione di una determinata situazione.

Prendiamo, ad esempio, la malattia mentale:

  • - Possiamo pensare, in questo fenomeno che compare in questo soggetto. Quale incidenza hanno avuto nella sua produzione altre dinamiche riguardanti l’ambito famigliare? In realtà, per la nostra concezione, appare chiaro che la malattia non è un fenomeno che riguarda un individuo bensì un gruppo.

  • - Possiamo interrogarci su come contribuisce l’ambito istituzionale alla cura o alla non cura e su come, la sua incidenza, può mettere in moto processi di cura oppure può favorire la stereotipia di certe situazioni.

  • Teniamo presente, ad esempio, i lavoratori che devono assentarsi dal lavoro per depressione causata da situazioni di conflitto vissute all’interno dello stesso ambito lavorativo.

  • - Pensiamo, per ultimo, a come l’esistenza, in un momento determinato, di risorse differenziate a livello comunitario possa determinare la prognosi della malattia.

Le istituzioni riproducono al proprio interno i rapporti di potere, di dominio e di egemonia che sono presenti nei rapporti sociali. Pertanto ciò che tende a ripetersi ed a riprodursi da un ambito all’altro è una situazione di tensione, un gioco di forze, un equilibrio raggiunto in un momento storico, vale a dire, una situazione dinamica.

Questa dialèttica tra forze è ciò che Castoriadis definì istituito e isituente, una dinamica tra due forze opposte il cui risultato, il cui equilibrio provvisorio sarebbe la concretezza dell’istituito, vale a dire ciò che di concreto si realizza nelle istituzioni

Lizcano esprime questo concetto in questi termini:

… da un lato vi è il desiderio di un cambio radicale, di auto-istituzione sociale, di creazione di istituzioni e significati nuovi: il desiderio di utopia. Da un altro vi è l’insieme di convinzioni consolidate, di pregiudizi, di significati istituiti, di tradizioni e abitudini comuni senza i quali non è possibile nessuna forma di vita comune.

Le istituzioni compiono una funzione sociale fondamentale di regolazione dei rapporti sociali, di trasmissione di norme necessarie perché possa avere luogo la vita in comune. Elliott Jaques dice che le istituzioni trasmettono sicurezza e protezione dinanzi alla minaccia del caos e della follia.

Pensiamo a situazioni di catastrofe come, ad esempio, il recente terremoto di Haiti; in questo contesto sembra che siano crollati, insieme ai palazzi, anche le “istituzioni mentali”, cioè quelle che regolano i rapporti sociali. A questo sopraggiunge l’angoscia, l’insicurezza ed il timore del caos.

Credo che la mancanza di efficacia nella coordinazione dei lavori che il governo locale ha fatto percepire alla popolazione non ha contribuito a calmare le ansie.

Penso anche a quanto invece siano stati importanti, per ridurre e controllare l’ansia, le reti di solidarietà o micro-solidarietà che si sono venute velocemente a costituirsi tra la popolazione colpita e che hanno sostituto temporaneamente le istituzioni crollate; le persone si trovavano per condividere i pasti, per mangiare insieme oppure si mettevano in gruppi per cercare posti dove dormire o rifugiarsi.

A questo punto possiamo dire che con le istituzioni manteniamo un duplice rapporto; esse non si trovano solo al di fuori di noi – nella società – bensì anche dentro di noi, nel nostro mondo interno, contribuendo in questo modo alla costruzione della nostra personalità.

Vale a dire che, oltre alla funzione sociale di cui abbiamo parlato prima, le istituzioni servono per mantenere un equilibrio interno. Vi è un rapporto tra le nostre necessità psicologiche e le istituzioni

Elliott Jacques ed altri psicoanalisti inglesi lavorarono su questi argomenti ed in particolare intorno al concetto di “relazione d’oggetto” sviluppato da Melanie Klein. L’idea centrale di questi autori è che le istituzioni vengono utilizzate per rinforzare le difese interne di fronte alle ansie depressive e paranoidi. Elliot Jaques stabilisce che ”uno degli elementi coesivi primari che portano agli individui a riunirsi in associazioni istituzionalizzate è la difesa contro l’ansia psicotica”.

Bleger sviluppa ulteriormente il rapporto individuo-istituzione o individuo-gruppo quando afferma che il punto centrale di questa relazione non è dato dal fatto che il soggetto appartenga ad un gruppo o ad una istituzione bensì dal fatto che una parte della sua personalità è questa appartenenza al gruppo o alla istituzione. Appartenere ad un gruppo non è una scelta, semplicemente non potrebbe essere altrimenti per l’essere umano.

Secondo Bleger c’è una parte psicotica, più specificamente nuclei psicotici della nostra personalità che rimangono sempre; sono una eredità dello stato di simbiosi originario, separati –“clivados”- dalla parte più evoluta o matura della nostra personalità. Nelle istituzioni viene depositata la parte immatura, sincretica, della nostra personalità, che deve rimanere lì immobilizzata affinché la parte matura, la socialità per interazione, possa svilupparsi, ecc.(Esempio madre e del bambino soli in una stanza, la mamma esce…)

Questo rapporto tra individuo e istituzioni, tra mondo interno e istituzioni sociali ci consentirà di capire meglio la problematica del cambiamento e della resistenza al cambiamento: le trasformazioni sociali comportano cambiamenti nel mondo interno. Se le nostre difese contro l’ansia psicotica si indeboliscono oppure se si sente la sua minaccia, i cambiamenti possono essere vissuti con timore di una destrutturazione interna, psicotica. Per questo motivo incontreranno resistenza.

I meccanismi di resistenza sono inevitabili, il problema non è la loro esistenza bensì il fatto che non possono essere pensati.

Passiamo adesso ad altri argomenti.

Per parlare, dal punto di vista della Concezione Operativa di Gruppo, di intervento istituzionale o dell’utilizzo dell’istituzione come strumento terapèutico, occorre chiarire preliminarmente una questione.

Bauleo dice:

ogni istituzione, per conseguire le sue finalità, ha un’organizzazione basica inter-gruppale. Esistono diversi gruppi (tecnici, amministrativi, utenti,ecc.) con diversi compiti, che organizzano una rete di rapporti che costituiscono la trama istituzionale”.

Questa è per noi un’idea basica, di partenza.

Ora vorrei attirare la vostra attenzione sulle ultime due parole –trama istituzionale-. Conoscere quella trama, indagare per poter interpretarla deve essere il nostro obiettivo.

Vale a dire che, nello stesso modo come per noi il gruppo non è un insieme o una somma di individui bensì è la trama immaginaria che si organizza in funzione delle interrelazioni che si stabiliscono tra i suoi componenti (in funzione anche del compito) nello stesso modo anche l’istituzione sarà la trama che si configura in funzione delle interrelazioni che si stabiliscono tra i gruppi che la costituiscono.

Allora quando parliamo di istituzione come di uno strumento per la terapia, ciò che andiamo a cercare è come l’istituzione si organizza come dispositivo di analisi che consente di visualizzare quella trama.

L’esperienza che Bauleo racconta (nel 1964, con Pichon Riviere ed un gruppo di 3 o 4 psicoterapeuti) parte da due gruppi – pazienti e terapeuti – (a cui si dovrebbe aggiungere il gruppo familiare che aveva il compito di pulire la casa) e dallo studio o analisi del campo immaginario che si organizza a partire dalle mutue proiezioni e dalla trama vincolare che si va costituendo tra di loro. Le supervisioni, incluse nello schema organizzativo, una giornaliera, dei terapeuti con il capo servizio ed una settimanale di tutta l’equipe assistenziale con il direttore, Pichon Riviere, costituivano i momenti nei quali questa rete vincolare poteva essere esplorata, visualizzata ed interpretata.

Secondo Bauleo questa dinamica consente una maggiore e più veloce comprensione della problematica dei pazienti giacchè in essa si include il quotidiano. Questo dispositivo fornisce informazioni sulla malattia dei pazienti che possono essere utilizzate nel processo di cura.

Al di là delle molte considerazioni che potremmo fare su questa esperienza, ciò che mi interessa mettere in risalto in questo momento è il fatto che è possibile creare istituzioni che non siano esclusivamente al sevizio della riproduzione della ideologia dominante e della stereotipia, dove possano avere luogo processi di cambiamento.

Per questo noi adoperiamo una tecnica di lavoro che cerca di svelare queste ripetizioni per consentire la circolazione e lo sviluppo di altri processi.

Per riuscire in questo senso occorre utilizzare un dispositivo che permetta di osservare costantemente ciò che lì sta succedendo e che questo possa essere interpretato.

Nel caso di cui parla Bauleo le supervisioni giornaliere e settimanali svolgevano questa funzione.

Riprendiamo a questo punto il concetto operativo di istituzione.

Come avevo precedentemente segnalato, per noi (Concezione Operativa di Gruppo) il modello è un gruppo organizzato intorno ad un compito.

Il compito viene visto come l’elemento che mette in relazione e rende possibile la comprensione di ciò che avviene nella istituzione. Sarà “compito del compito” fare in modo che possano acquisire un significato od una spiegazione le vicende dei rapporti di alcuni gruppi con altri.

L’organigramma ci parlerà soltanto del piano manifesto, ma ciò che ci interessa conoscere è il piano latente, vale a dire, ciò che dà luogo agli emergenti che vediamo: le difficoltà nella comunicazione, i ”malintesi”, le sregolatezze organizzative o i problemi e conflitti di vario tipo che possano accadere.

E’ importante ricordare che Bleger considera l’istituzione come un insieme, in modo tale che la comprensione di ciò che accade in una delle sue parti acquisisce un senso se si tiene conto dell’influenza dell’insieme o di un insieme ancora più grande del quale è parte. Vale a dire che se mettiamo la nostra attenzione in uno dei gruppi che costituiscono l’istituzione, ciò che accade all’interno di quel gruppo non può essere pensato in funzione della sua propria dinamica, isolatamente dal contesto in cui è compreso, così come non possiamo pensare che la condotta che un individuo manifesta in un gruppo non abbia relazione alcuna con ciò che avviene nel medesimo gruppo. In questo gruppo istituzionale possono essere intervenute diverse situazioni come quella di essere stato “scelto” come capro espiatorio ecc..

Il nostro sguardo deve essere sempre rivolto al vincolo che articola i diversi gruppi che costituiscono l’istituzione ed allo spazio immaginario che esso costituisce (o istituisce).

In relazione a questo, ho riguardato alcune esperienze d’intervento istituzionale fatte da noi, con la Concezione Operativa di Gruppo, e mi è sembrato di vedere alcuni elementi in comune che forse definiscono un modo di fare:

  1. Oltre agli interventi concreti sui gruppi costituiti, formali, dell’istituzione (i lavoratori di un équipe specifica, quelli di un turno, il gruppo degli amministrativi, i tecnici, lo staff, ecc.), nei nostri interventi vengono proposte, come dispositivo artificiale temporaneo, le “riunioni inter-équipes”, inter-gruppi o interdipartimentali: spazi che favoriscono l’incontro dei lavoratori dei diversi turni, dei diversi ambiti (tecnico, amministrativo, ecc.) dei diversi dipartimenti, ecc. Vale a dire che uno o due lavoratori di ognuno dei gruppi si riuniscono con un setting (possono attivarsi vari gruppi di questo tipo qualora l’istituzione sia molto grande) ed hanno come compito quello di visualizzare i rapporti inter-gruppali, vale a dire esplorare la rappresentazione o l’immagine che ogni gruppo o équipe si è fatta degli altri gruppi ed osservare come questi comunicano tra loro.
    Vogliamo con ciò dire che il nostro sguardo si orienta verso questo spazio indefinito tra i gruppi, verso questo immaginario che costruiscono tra tutti, verso questa rete che tessono con le loro rappresentazioni, con i loro fantasmi…..queste riunioni inter-gruppi, artificialmente create, ci consentono, per l’appunto, l’esplorazione di questo spazio.

  2. Anche i momenti assembleari formano parte del nostro “modus operandi” con vari obiettivi: informare riguardo al lavoro che si pretende portare avanti e sollecitare l’adesione degli interessati; stabilire il setting generale degli incontri; fornire informazioni sulla evoluzione del processo; richiamare il setting, ecc.
    Questi momenti non sempre vengono definiti dall’inizio, poiché, a volte, è una lettura del processo che si sta svolgendo, a portare alla convocazione di un’assemblea che può assumere essa stessa il carattere di una segnalazione o di un’interpretazione.

Le assemblee ed i gruppi interdipartimentali sono spazi che rompono l’organigramma, ciò che è formalmente istituito e, conseguentemente, possono generare inquietudine (nell’istituzione, ma anche nei gruppi e negli individui), timori ed ansie

Anche i vettori del cono rovesciato che Pichon Riviere utilizzava per parlare del funzionamento di un gruppo possono esserci utili per analizzare certi aspetti della dinamica istituzionale. (Forse Bleger non sarebbe molto d’accordo con questa idea giacchè essa comporta il passaggio di modelli concettuali da un ambito ad un’altro. Lui fa lo sforzo di cercare terminologie nuove, però, in loro mancanza, utilizzare quelle che abbiamo può servire, almeno nell’attesa di trovarne di migliori, in quanto ci aiutano a pensare).

Idee come pertinenza, appartenenza, comunicazione, apprendimento, cooperazione, telè sono utili per poter parlare di ciò che accade nell’istituzione.

  • Come è organizzata la comunicazione; se esistono o meno spazi formali adibiti alla comunicazione, con quali settings, ecc.
  • Appartenenza e pertinenza parlano di un modo diverso di stabilire il vincolo con l’istituzione e con il suo compito, cosa che non dipende esclusivamente della volontà dell’individuo ma che può essere stabilita anche istituzionalmente (più “matura” o più “familiare”)
  •  Vi può essere promozione della cooperazione o, al contrario, si può tendere al lavoro “indipendente”, del tipo a “compartimento stagno”, separato, isolato.

Abbiamo anche la nozione di “grado di dinamica”, di Bleger, che parla della maggiore o minore capacità dell’istituzione di risolvere al suo interno le proprie tensioni e conflitti.

Per concludere mi piacerebbe dire due parole sul cambiamento nelle istituzioni giacchè questa problematica è centrale. Vorrei riferirmi alla Teoria della Incrinatura (fisura) introdotta da Horacio Foladori.

Foladori sostiene che l’intervento è possibile in una istituzione solo se l’istituito presenta una incrinatura.

L’istituente, dice, opera in due maniere:

  1. Quello che, seguendo Lourau, chiama l’istituente nell’istituito, vale a dire il cambiamento previsto, secondo norma, regolare il cambiamento minimo necessario affinché l’istituito non diventi anacronistico con il tempo e possa pertanto continuare a mantenersi. Sarebbe il cambiamento “riformista”.

  2. Il cambiamento “di rottura” dove ciò che si richiede è la creazione di una nuova istituzione, la scomparsa dell’istituito per poter istituire un’altra cosa. Creare una contro-istituzione (per recuperare il potere espropriato originariamente), per questo è necessario un atto rivoluzionario.

Se l’istituito funziona bene, in modo più o meno armonico ed organizzato, non vi è spazio per nessun intervento né per nessuna domanda in quel senso. Non c’è sensazione di pericolo. Ci troveremmo, come direbbe Bleger, con un’istituzione con un “buon grado di dinamica”. Il conflitto può essere risolto dalla istituzione mettendo in atto gli aggiustamenti necessari. Fa parte del previsto e prevedibile. Non vi è nessuna “incrinatura”.

Invece esiste una domanda d’intervento quando l’istituito non riesce a placare la sofferenza istituzionale e questa sofferenza minaccia di poter giungere a rompere l’istituito. Quì si è stabilita un’incrinatura.

Quindi, la domanda d’intervento è sempre, dice Foladori, rivolta a controllare l’evoluzione istituzionale e perpetuarne la continuità.

L’incrinatura è quindi l’esito dell’istituente. Costituisce il primo passo perchè possa prodursi un cambiamento istituzionale.

***

La seconda lezione propone una discussione collettiva sull’argomento: rapporto gruppo (equipe) – istituzione.

Alcuni argomenti sarebbero questi:

- Potremmo vedere qual è l’esperienza di ognuno, anche se, prima di tutto dobbiamo considerare che l’appartenenza a qualcosa che si chiama équipe viene determinata dall’istituzione: cominci a lavorare in una istituzione, ad esempio un’istituzione assistenziale e ti viene assegnato un orario, un ruolo, una funzione (in genere non molto definita)….un compito (anch’esso non molto definito). Se fai parte di un’équipe, o di qualcosa così chiamata, devi esserne partecipe nei termini in cui è stato stabilito. Questi sono tutti elementi che costituiscono ciò che noi chiamiamo “setting”.

Se esiste un’équipe non puoi scegliere di restarne fuori, vale a dire, non presentarti alle riunioni o ignorare la loro esistenza. Questo non vuol dire che vi sia una partecipazione (tutti sappiamo ciò che significa essere presente fisicamente e non partecipare o, addirittura, boicottare il lavoro).

Allora possiamo dire che ci sono delle équipes che non sono tali, bensì solo formalismo, luoghi dove, se va bene, si coordinano alcuni aspetti formali, si distribuiscono ordini o informazioni istituzionali…e nient’altro. Qui, se non ci si presenta sempre alle riunioni o ci si sta solo per un pochino, non importa, perché tutto è solo nominale. Non viene richiesto un funzionamento come équipe, conta solo la forma, non lo sfondo, che viene ignorato e che sicuramente è anche temuto.

- Però se l’équipe funziona o vuole funzionare come tale, ci troviamo con l’esistenza di due setting: il primo è quello istituzionale di cui parlavamo prima, generico… ed il secondo, più gruppale, costituito a partire dal lavoro e per il lavoro; costituito più a misura dei suoi componenti, in relazione a questi professionisti concreti e in relazione anche alla domanda specifica a cui devono rispondere.

Questo tipo di setting promuove resistenze. Per alcuni professionisti è più esigente, richiede un maggiore impegno e coinvolgimento con il compito.

Spesso sorgono conflitti tra un setting e l’altro, giacchè i ruoli e le funzioni stabiliti dal primo non necessariamente hanno una corrispondenza con i ruoli e le funzioni del secondo poiché in quest’ultimo ruoli e funzioni sono determinati da considerazioni come la formazione professionale, l’esperienza, lo stile personale…aspetti che il primo setting non prende in considerazione.

-Però le resistenze che può suscitare un setting così concepito possono raggiungere anche l’istituzione giacché un’équipe che funziona bene costituisce un contropotere dentro l’istituzione. Una buona équipe spaventa i responsabili delle istituzioni (si teme di non poter esercitare l’autorità giacché l’équipe la riconosce solo formalmente ma la mette in discussione nella sostanza, ad esempio, discute gli ordini…)

L’istituzione può non essere capace di sopportare questa situazione e quindi possono accadere cose come quella che venga mandato via il coordinatore o che il lavoro dell’équipe venga boicottato modificando o frammentando il suo compito.

Si tratta della lotta istituente-istituito, di cui parlavamo prima, vista nel contesto di un servizio assistenziale.

- Un’altra linea di riflessione interessante è il ruolo del coordinatore dell’equipe. Ruolo difficile, soprattutto se l’équipe funziona bene: situato tra coloro che comandano (i rappresentanti dell’istituito) e l’équipe. Occupa un posto intermedio molto difficile da sostenere perché tutti possono accusarti di non difendere i loro interessi bensì quelli dell’altra parte. Oltretutto, per coordinare, è necessario mantenere una certa distanza e questo, l’équipe, non lo perdona facilmente. Il ruolo del coordinatore è un ruolo di grande solitudine che però offre tante soddisfazioni quando le cose funzionano bene.

-Sulle dinamiche interne dell’équipe sono tante le riflessioni che possiamo fare. Alcune équipe hanno (come direbbe Cooley) un funzionamento più vicino a quello di un gruppo primario che a quello uno secondario, vale a dire che prevalgono gli aspetti emozionali ed i rapporti di tipo familiare invece che gli aspetti razionali ed i rapporti più maturi e più pertinenti al compito da svolgere.

-Altre volte può capitare che si tenda alla omogeneizzazione dei professionisti all’interno dell’équipe per la difficoltà a sostenere le differenze. Allora sembra costituirsi un “ideale” d’équipe sostentato dall’idea che tutti condividono lo stesso schema teorico o si tende a minimizzare le differenze nelle funzioni. Tutto l’opposto del lavoro necessario per la costituzione di un ECRO (Schema Concettuale Referenziale ed Operativo) il che implica una creazione collettiva da parte dei professionisti di fronte al proprio compito, che si costruisce a partire dai loro contributi individuali e dalle loro differenze.

Traduzione: Maria Cecilia Monge Roffarello

Bibliografía

- Emmánuel Lizcano, Metáforas que nos piensan. Sobre ciencia, democracia y otras poderosas ficciones. Co-edición a cargo de Ed. Bajo Cero y Ed. Traficantes de Sueños, Madrid 2006. www.traficantes.net

- Isabel Menzies, Elliott Jaques, Los sistemas sociales como defensa contra la ansiedad. Ed. Hormé, Buenos Aires 1969.

- José Bleger, Psicoigiene e Psicologia istituzionale, Ed. Lauretana, 1989

- Armando Bauleo, Note di psicologia e psichiatria sociale. Pitagora Ed., 1993, Bologna

- Armando Bauleo, Marta de Brasi, Clinica Gruppale, Clinica Istituzionale. 1994, Padova, Il Poligrafo

- Horacio Foladori, La intervención institucional. Hacia una clínica de las instituciones. Ed. Arcis, Santiago de Chile, 2008.

- Emilio Irazábal, “Apuntes para una psicología social de los equipos (de salud mental)”, en A. Bauleo; J.C. Duro y R. Vignale (coord.) La Concepción Operativa de Grupo. Ed. AEN, Madrid, 1990

- Federico Suárez, “Apuntes para una reflexión sobre la gestión de recursos y la coordinación de equipos”, en Rev. Área 3. Cuadernos de temas grupales e institucionales nº 8, 2001. www.area3.org.es

This entry was posted in Articoli. Bookmark the permalink.