La Transe metropolitana

Affronterò questo tema partendo dalla realtà della provincia di Rimini. Si tratta di un osservatorio interessante da un duplice punto di vista. Il primo, il più evidente, è costituito dalla migrazione turistica. Infatti Rimini città ha 130.000 abitanti nella stagione invernale e circa 1.000.000 in quella estiva. Naturalmente durante l’estate, gli ospiti che transitano sono molto di più di un milione perchè vi è un continuo ricambio di presenze.

Questa vocazione turistica della città ha avuto un impulso molto forte negli anni sessanta con la teoria del “Turismo di massa”.

Con questa idea l’amministrazione di sinistra della città intendeva offrire la possibilità di una vacanza al mare anche a classi sociali che non avevano avuto, sino a quel momento, un margine economico per potersi permettere la “vacanza”.

Così, allora, arrivarono in riviera le famiglie operaie di Dortmund o di Milano e gli impiegati di Vigevano o di Goteborg. Parallelamente, il governo della sinistra, impedì l’ingresso delle grosse concentrazioni di capitale finanziario e permise la crescita di un turismo basato sulle piccole pensioni a conduzione famigliare. Molte di queste pensioni sono nate dalle case che accoglievano i bagnanti, questi tornavano, perché si erano trovati bene e portavano altri clienti. I proprietari, spesso muratori, costruivano un altra camera, poi un altra ancora, spesso in spregio alle norme urbanistiche ed alla fine si ritrovavano con un piccolo albergo o una pensione familiare.

Durante questa crescita di tipo “americano” era facile accumulare danaro con qualsiasi tipo di attività che attirasse l’interesse turistico. Naturalmente questa fama di ricchezza attirò a Rimini numerose persone in cerca di lavoro e nuove opportunità di vita.

Così la città passò in poco tempo – più o meno 10 anni anni da 80.000 abitanti a 130.000 con un aumento di circa 50.000 abitanti. Cambia il volto della città, ma non solo quello. Cambia la composizione della popolazione. Cambia la struttura del nucleo famigliare.

Si produce un interessante fenomeno: si creano due città, una estiva, trasgressiva, sudaticcia, proletaria e carica di sessualità, una invernale, piccolo borghese, tradizionalista e provinciale un po’ ipocrita. La linea di frattura fra le due città è la linea della ferrovia che taglia il corpo urbano: a monte “Ariminum”, città antica di tradizioni umbre e galle romane, bizantine, sede dei Malatesta e capitale della Signoria di quel personaggio nicciano che fu Sigismondo Malatesta. A valle Rimini, la marina, il Grand Hotel, il lungomare, gli ombrelloni, i turisti, le turiste, le svedesi, le francesi, il sesso, i cargadour, i birri, i bagnini, la birra, le patatine,il ketchup.

Le due città si odiano, non si rispettano non si integrano. La prima città, provinciale, si vergogna un po’ della seconda ma la sfrutta e l’ammira. Ammira e forse invidia una certa dose di libertà dei costumi, una sfrenatezza popolaresca contadino/marinara, una circolazione libidica assolutamente vietata dalla coscienza piccolo borghese. Ma questa città “estiva” non rimane confinata solo nella marina ma si estende con l’immaginazione anche a ridosso della città vecchia e comincia a circondare il borgo ristretto ancora nelle mura malatestiane.

Nascono nuovi quartieri cresce un’altra città anche a monte,una città che non condivide la mentalità di Ariminum, per esempio non ne condivide il dialetto romagnolo, vi sono altri linguaggi e il dialetto rimane confinato ai “veri riminesi”: di nuovo problemi con l’identità.

Qual è dunque l’identità di questa città che muta i suoi cittadini e che accoglie per periodi di tempo ristretti migrazioni di cittadini di altre città e di altre nazioni?

Se consideriamo,anche in questo campo la psicologia degli ambiti di J.Bleger,potremmo partire da un’analisi dell’ambito comunitario.

Possiamo subito pensare a quale forma di comunicazione si instaura nella città turistica: una forma elementare, si tratta di una comunicazione economica,dove per economia si intende l’economia libidica: attrazione e repulsione,incorporazione,espulsione. Tutto si basa sul corpo: il corpo da esibire in spiaggia o da addestrare e curare un corpo da nutrire,un corpo da cercare.

Flussi libidici organizzati in corpi,macchine desideranti che si connettono con altre macchine, sguardi improvvisi e diminuzione del controllo sui propri atti come se in quello spazio si potesse realizzare il desiderio.

Come un “indigeno” il turista “perde per periodi più o meno lunghi,e in grado variabile, l’unità della propria presenza e l’autonomia dell’io.” La comunità turistica prevede altri corpi o macchine, una altra economia monetaria quella di chi suda, serve, sorride pensando ad altro, organizza balli per lavoro, aspetta i clienti nella pensione, guida l’autobus, porta via i rifiuti, controlla i depuratori ma, spesso nel tempo libero, si mischia alla massa e spende, consuma ciò che produce immediatamente senza accumulare.

Altri accumulano e sudano e maledicono il giorno in cui sono venuti a faticare ma dormono poco in preda ad una frenesia che li porta a spendere energie senza riposare. Sono l’esercito dei lavoratori, degli stagionali che migrano in cerca di fortuna, di danaro, di folla.

Questa comunità effimera e transitoria, possiamo definirla una comunità stagionale, si confronta con una comunità stabile e se vogliamo con una struttura di potere: la città vecchia con le sue tradizioni e le sue istituzioni.

Il paradosso che qui si evidenzia è che la città vecchia ha “pensato” permesso ed in qualche modo prodotto la comunità stagionale, di fatto questa è la grande industria della città, l’attività produttiva che prevede anche un indotto con attività economiche e commerciali legate al turismo: eppure questa vecchia città si vergogna dell’estate, le due città non riescono ad integrarsi e questo provoca effetti in diversi ambiti come quello istituzionale, quello gruppale famigliare e quello individuale.

L’ambito famigliare

Possiamo osservare, a titolo esemplificativo, una mutazione avvenuta nell’ambito familiare. L’analisi di questo ambito che si colloca a cavallo fra l’istituzione: l’istituzione familiare, e il gruppo, ci permetterà di comprendere a questo livello i fenomeni della migrazione,dell’identità e se vogliamo della psicopatologia.

Il modello famigliare, la struttura di questo particolare gruppo è molto ben descritta da una scena del film “Amarcord” di Fellini. Quella famiglia, con il padre sanguigno e la mamma “azdora” ossia reggitrice è già una famiglia piccolo borghese inurbata nella Rimini degli anni 30. Ma lo sviluppo degli anni 60 ha esteso l’esogamia per cui i matrimoni popolari non sono più con una ragazza di “un paese di fuori” ma con svedesi, tedesche, francesi, svizzere. Insomma si è prodotta una nuova identità familiare che non era prevista in quel borgo di Fellini. Rimini non era preparata ad una cultura metropolitana.

Per questo le nuove famiglie hanno portato una differenza anche nella città vecchia. Non più solo d’estate ma anche in inverno c’erano luterani e non solo cattolici o comunisti/anarchici. C’erano soprattutto, in queste famiglie codici diversi che ancora non sono riusciti ad emergere. Possiamo rappresentare la situazione con uno schema.

Si instaura un conflitto sulle regole della nuova famiglia ad esempio sulla educazione dei figli. L’antica soluzione di questo conflitto prevedeva la prevalenza di uno schema, di solito quello patermo mentre quello materno diventava latente per riemergere solamente durante i conflitti educativi. Ora questa soluzione non è più praticabile. Risulta impossibile per una ragazza di Berlino o di Parigi adeguarsi al modello di “Azdora” che sta in casa e la governa, fa le tagliatelle e la piadina.

Del resto la mentalità della città vecchia non aiuta queste famiglie a fondare una loro identità. Le famiglie si sentono quasi sempre lacerate nella loro differenza e riportano al loro interno il conflitto di identità che abbiamo analizzati nell’ambito comunitario (estate/inverno).

Sembra che non si riesca a trovare una nuova identità e che ci si debba riferire sempre a schemi famigliari tradizionali per essere integrati nella città vecchia e quindi definirsi “riminesi”.

Le macchine desideranti che si sono concatenate nel flusso estivo stentano a trovare una coscienza della loro identità e spesso vagano in una “falsa coscienza” come se ci si dovesse per forza adeguare ad uno schema famigliare dominante che non esiste più e non corrisponde alla realtà…

Non so, dunque se questa linea di frattura che stiamo descrivendo non sia una linea che corre fra le istituzioni della endogamia e quelle della esogamia. Sta di fatto che questi nuclei famigliari esogamici non possono definirsi direttamente romagnoli o italiani ma devono rifarsi, quanto meno, ad una identità europea, ad una realtà ideale, forse ad una comunità utopica.

Ma è certo che esistono e ciò che succede nell’altra sponda del mare Adriatico ci fa riflettere sulla esplosione delle differenze e sulla ricerca di identità etniche che negano l’esogamia e lacerano tutti coloro che provengono da nuclei famigliari esogamici. Vi sono oltre 3 milioni di yugoslavi nella ex yugoslavia, yugoslavi perchè figli di un croato e una serba o di una bosniaco musulmano e un bosniaco ortodosso e così via.

Queste persone sono costrette a scegliere negando una parte della loro identità che si riferisce ad una comunità esogamica che abbraccia tutto il mondo. La frantumazione della ideale comunità esogamica multirazziale e multiculturale porta alla psicopatologia della comunità etnica, del “moglie e buoi dei paesi tuoi”, della purezza del sangue e di altri delirii endogamici tristemente conosciuti.

Anche per questo motivo abbiamo cercato un programma di prevenzione che lavori per la presa di coscienza di una nuova realtà e che porti alla produzione,di una diversa identità culturale nella nostra città e provincia. Questo programma si focalizza su di un periodo particolare di formazione dell’identità:l’adolescenza.

L’Adolescenza

Su questo fondamentale periodo è importante lo studio di G. Lapassade: “Il mito dell’adulto”, in questo lavoro, dei primi anni 60, Lapassade sostiene che l’adolescenza ha uno statuto a se, non è semplicemente un periodo di passaggio ma è la metafora dell’identità dell’essere unano, una identità incompiuta perché in continuo cambiamento.

Attraverso l’adolescenza vista come momento in cui tutti i destini dell’adulto sono possibili Lapassade ci propone una identità fortemente ancorata all’immaginazione, che accetta le forma simboliche della comunicazione solo come strumenti e non come feticci cui uniformare un comportamento, feticci a cui l’adolescente dovrebbe soggiacere entrando nel mondo adulto.

Questo mondo adultus, divenuto, questo stato è storicamente, socialmente e geograficamente determinato e l’adulescens colui che diventa produce un mondo di simboli, crea sempre un mondo nuovo se non è costretto a non essere.

Dunque in questa prospettiva l’adolescente o meglio gli adolescenti sono un punto di confluenza della molteplicità, l’emergenza del nomadismo in una identità famigliare territorializzata. Sono un punto di catastrofe di una mutazione che può portare a diversi esiti.

La nostra attività preventiva si rivolge dunque a questi soggetti ed in particolare seguendo gli studi di T. K. Cohen: “I ragazzi delinquenti” abbiamo diviso gli adolescenti in coloro che hanno un atteggiamento “proscolare” e chi ha un atteggiamento “antiscolare”.

E’ soprattutto in questa seconda categoria che si svolge il nostro intervento, qui infatti si trovano soprattutto gli adolescenti che per problematiche famigliari, di cui abbiamo parlato precedentemente, vengono respinti ai margini dell’identità culturale locale, non hanno nessun tipo di ormeggio ne possibilità di identificarsi con la cultura dei padri perché la loro famiglie presentano un alto grado di differenziazione rispetto al modello ideale dominante nella quotidianità della città.

Per questo motivo producono sottoculture che si riallacciano ai filoni presenti in tutto il mondo che riguardano il mondo degli adolescenti. In questo campo la città e la provincia di Rimini, vivono una realtà che è importante precisare.

Negli anni 70 – 80 per aumentare le potenzialità di accoglienza si sono diffuse molte iniziative che tendevano ad aumentare la stagione turistica oltre l’estate. Per questo si è sviluppato un turismo congressuale ma anche, ed è il punto che qui ci interessa, un turismo giovanile interessato al ballo e alla vita da discoteca Nella Provincia di Rimini sono concentrate circa 200 discoteche, la concentrazione più alta d’Italia. Sono discoteche di tutti i tipi, compreso le discoteche che come si dice “fanno tendenza”.

Questi locali richiamano nei fine settimana di tutto l’anno una folla numerosissima di giovani che vengono da tutta la pianura padana ed anche ed anche dal Centro Italia. Vi sono ormai fenomeni particolari come treni dedicati al ballo e campagne promozionali contro l’alcol, e le compresse di estasi al fine di prevenire i decessi da incidenti automobilistici del sabato sera.

Tuttavia questa situazione, a nostro avviso, va ulteriormente analizzata, considerando per l’appunto l’adolescenza ed anche la tendenza a comportamenti ORDALICI come ad esempio sfidarsi nell’attraversare con l’auto a tutta velocità un incrocio della via nazionale con il semaforo rosso.

Ma l’analisi ha portato, e qui tocchiamo l’argomento di cui mi interessa parlare, sul piano di un fenomeno che incominciamo a definire come “Transe Metropolitana”. Che cosa significa? E perché ne parliamo qui?

Torniamo per un momento all’identità e proviamo per un momento a definirla come: coscienza dell’unità della propria presenza come unità numerica e non di specie e cioè: Io sono io e non un altro, sono nato il tal giorno del tal anno nel tal luogo ho fatto questo e quello ecc. Secondo L. Prieto solo l’essere umano ha coscienza della propria identità numerica mentre gli altri esseri. possono avere, coscienza dell’identità di specie e di generare (maschile, femminile ecc.).

Questa coscienza dell’identità numerica ha qualche cosa a che fare con il concetto di “presenza” che utilizza Ernesto De Martino, un antropologo italiano.

De Martino parla, nel suo testo “Il Mondo Magico” di crisi della presenza che si scatenerebbe in determinati momenti di cui il paradigma sarebbe il lutto. In un altro suo testo, “Morte e pianto rituale” descrive questo crisi che si presenta maggiormente la dove, come dice lui il contenuto della presenza manca di ogni interna discriminazione. E cioè, per dirla in altro modo, riprendendo un concetto fondamentale anche nell’opera di J. Bleger la discriminazione è funzione dell’identità.

Certamente, se la discriminazione è carente, la “presenza”, ossia “l’essere per se” come dice Sartre sconfina facilmente nell'”essere in se” delle cose, basta dunque un momento critico della esistenza: “nascita, pubertà, matrimonio, paura e morte, potremmo includere migrazione” perchÈ si possa parlare per periodi più o meno lunghi e in grado variabile l’unità della propria persona e l’autonomia dell’io e quindi il controllo degli atti. In poche parole perché si possa perdere l’identità e la coscienza di una identità numerica.

Ed è proprio in queste situazioni critiche in cui il singolo si sente minacciato nel proprio “essere nel mondo” che emerge il rito che fornendo stereotipi ossia modelli di comportamento oggettivi codificati ricollega con una supposta tradizione.

Ma è come ci ha insegnato Pichon Riviere lo stereotipo è il nemico dl pensiero perché impedisce di elaborare una situazione attuale riproponendo vecchi modelli rassicuranti, lo stereotipo è anche pericoloso perché può fornire basi pseudo teoriche all’aggressività perché l’ansietà depressiva, ossia la paura di perdere la tradizione, si può trasformare un’ansietà paranoide per cui si individua un “nemico” responsabile della situazione critica in cui ci troviamo. Anche Franco Fornari aveva descritto la guerra come l’elaborazione paranoica del lutto.

È in queste situazione critiche che gli stereotipi prescrivendo certi comportamenti a chi occupa una certa posizione attribuiscono ruoli che vengono assunti dagli attori e se non sono elaborati nel compito presente provocano una ripetizione astorica che si riferisce ad una “tradizione” che può definire la situazione attuale, il contesto, solo attraverso l’imposizione violenta e tramite il consenso dell’atto comunicativo (Habermas).

Questi stereotipi che definiscono le condotte dei ruoli come il padre, la madre, il figlio, il fratello ecc. sono effetto di una cultura stancamente determinata ed entrano fortemente in crisi in situazioni di cambiamento come le migrazioni ma anche in situazioni come quelle che abbiamo descritto in una città come Rimini.

Quando questi ruoli diventano fissi, simulacri di una cultura tradizionale che appartiene ad un altro paese ed un altro tempo, ad un altrove, possono essere vissuti come “altri” che si calano nell’identità e la modificano a seconda di ciò che il ruolo prescrive. Tu devi comportarti così dice il ruolo che possiede il soggetto in una situazione critica. Ossia in questa situazione il figlio, il padre, la madre, il fratello si devono comportare così per evitare di perdere l’identità. Ma l’interpretazione del ruolo in questo dramma è, secondo noi, in funzione del compito reale che convoca gli attori o se volete i membri di un gruppo.

La transe metropolitana

Bisogna distinguere fra rito, cerimonia, ed elaborazione creativa della situazione attuale. Infatti vi è differenza fra il pensare ed il decide su di un pensiero cosciente e la decisione frutto dell’applicazione di stereotipi.

La differenza sta nella funzione di discriminazione, nella capacità di contenere l’ansia prodotta da una situazione di crisi. Ma come è evidente ogni situazione è una situazione nuova anche se il gioco di un processo a spirale può presentare elementi analoghi. Sono elementi che si ripresentano in un altro giro di spirale.

Ma torniamo a Rimini e alla transe metropolitana. Da numerosi studi possiamo definire la transe come un comportamento del corpo o meglio un corpo che si dissocia da una coscienza ordinaria che trapassa (trans-ire) in una coscienza marginale in cui l’identità è mutevole e la discriminazione molto bassa.

Lapassade descrive delle figure della transe che secondo lui costituiscono una genealogia del fenomeno: ci sarebbero

una transe sciamanica o estasi

una transe dispotica

una transe profetica

una transe drammatica o catartica

una transe satanica DIONISO = DIAVOLO

una transe isterica

Il fenomeno sarebbe sempre lo stesso la differenza sarebbe la lettura che il potere effettua sul fenomeno. La lettura costruisce anche una definizione e quindi anche un controllo.

Per Lapassade: “pressoché in ogni fase della sua storia, la transe è legata alla lotta di classe. Essa appare così come un analizzatore naturale della contraddizione sociale”. Ora , senza approfondire ulteriormente il concetto di analizzatore basti dire che per Lapassade e per l’analisi istituzionale analizzatore “è un comportamento che obbliga alla manifestazione di una verità sociale, di una situazione fino a quel momento tenuta nascosta o insufficientemente conosciuta dagli individui.”

Bene, si diceva che la transe può essere un analizzatore, un emergente clinico di una determinata situazione storico sociale.

Ad esempio la transe sciamanica ci indica una società senza stato dove lo sciamano può educare ad un modo di accesso a stati modificati di coscienza in funzione di una situazione che richiede costantemente l’elaborazione di strumenti per affrontare i cambiamenti della vita quotidiana.

Diversa invece è la transe dispotica dove lo stato in mano al despota organizza il controllo “perinde ac cadaver” dei corpi dei sudditi.

Naturalmente la possibilità di uscire dai ruoli predeterminati e dai comportamenti prescritti o dagli stereotipi è una figura di transe. Così, in questo senso l’organizzazione sociale e l’elaborazione sempre più definita dei ruoli in rapporti economici ad esempio di schiavitù, o feudali o capitalistici vengono evidenziati dalla forma della transe ossia da come la transe viene spiegata.

In questo senso stiamo cercando di interpretare il fenomeno della transe legata all’uso di droghe. In particolare il desiderio di “sballo” ossia di uscita dal perimetro di una coscienza di se vista come limitante è da mettere in relazione con codici di rapporti sociali che prescrivono ruoli rigidi stereotipati che non lasciano nessun margine alla creatività e che vengono vissuti come imposti da un ordine simbolico predeterminato, da una ideologia potremmo dire.

Se dunque una ideologia dominante esercita la propria egemonia prescrivendo dei ruoli sociali che gli attori devono assumere necessariamente al fine di mantenere quei rapporti sociali determinati che costituiscono la forma di produzione del periodo allora il desiderio di fuga da quei ruoli o da quella coscienza ordinaria che prescrive quei ruoli è la manifestazione di un desiderio di un nuovo ordine sociale e di nuovi rapporti sociali.

Tradizionalmente la transe è legata alla perdita dei confini dell’identità e dunque porta a quella situazione che può essere anche definita di gruppo in fusione (Sartre) o di fenomeno di massa come ci dice Freud, a questo punto vi può essere un controllo dispotico tramite un medium che ipnotizza la massa vi può essere un effetto catartico per cui le masse si possono liberare delle tensioni per poi ricaricarsi durante il corso della coscienza ordinaria. In questo caso il fenomeno di transe è funzionale all’ordine sociale prestabilito.

Oppure vi può essere un cambiamento in funzione di una presa di coscienza non verso una distruzione della coscienza ma verso un suo allargamento.

Si evidenzia che in questo modo noi riteniamo la coscienza come ordinatrice dei ruoli sociali e quindi come morale dominante.

E’ questo super io o Altro generalizzato come dice G. H. Mead a porsi come DOVERE, obbligo, divieto; cioè come prescrittore di norme comportamentali che definiscono i ruoli sociali. Ma noi sappiamo che questa etica non è “naturale” ma socialmente e geograficamente determinata.

Del resto ai fenomeni della transe è sempre stato collegata un’idea di immoralità, di violazione dei tabù sessuali ecc.. Stiamo pensando a questo fenomeno della frequentazione massiccia delle discoteche ed alla sottocultura che si collega come ad un fenomeno di transe metropolitana non ritualizzata, anche se esistono aspetti sempre più coscienti di cosa si sta facendo ma senza che ci si immerga nel fenomeno infatti possiamo avere:

Quindi se pensiamo a questo fenomeno come una transe metropolitana lo possiamo pensare come desiderio di uscita dalla coscienza ordinaria intesa anche come morale dominante, possiamo dire con Reich morale sessuale dominante. A questo punto questa coscienza direbbe Lucaks : -ci si presenta come “coscienza giusta” cioè come qualcosa che, soggettivamente, deve e può essere compresa e giustificata sulla base della situazione storico sociale, ed al tempo stesso come qualcosa che oggettivamente passa accanto all’essenza dello sviluppo sociale senza riuscire a coglierlo e a dare ad esso espressione adeguata quindi come “falsa coscienza”-.

La coscienza giusta di questo fenomeno che abbiamo inteso come transe metropolitana ci riporta all’adolescenza come potenzialità di crescita e di creatività ed ai movimenti sottoculturali internazionali legati alla prospettiva di una nuova fruizione sociale.

Evidente infatti che se vi sono movimenti che spingono coscientemente per una forma multirazziale e multiculturale questi sono movimenti che prefigurano una comunità esogamica mondiale e si oppongono al nazionalismo e alla definizione di identità basata sul territorio sull’etos, sul sangue di una comunità endogamica regressiva e tradizionalista.

Per noi quindi la promozione dei fenomeni di transe metropolitana va di pari passo con la ricerca di una coscienza multi etnica e antinazionalista che è tipica dei nuclei familiari che si sono formati nel crogiolo della migrazione, sia pure una migrazione turistica.

In questo senso movimenti come l’Hip Hop ed anche la “tecnotranse” con i rave ripropongono forme di creatività slegate dalla ripetizione e prefigurano forme di vita basate sullo scambio di conoscenze pratiche dove il ruolo è in funzione dello stile di vita che non è prescritto a priori ma prodotto nella prassi.

Promuovere sviluppare queste forme di transe metropolitana significa anche favorire una presa di coscienza della necessità del cambiamento degli schemi di riferimento per misurarli con il compito attuale e non con le norme dettate dalla tradizione.

In questo senso la transe è il metodo giusto per fondere i ruoli predeterminati che si sono impossessati dell’identità ma il gruppo il piccolo gruppo che lavora sul compito è la condizione necessaria perché si possa accedere alla coscienza di una nuova identità che è una identità in cambiamento continuo.

Quindi, come scuola di prevenzione siamo impegnati nella formazione di operatori che intervengono in centri sociali giovanili per favorire l’aggregazione di adolescenti con un atteggiamento antiscolare. Queste aggregazioni propongono la festa, il ballo, la musica come modalità di aggregazione e dunque interferiscono nella “transe metropolitana” però dal punto di vista di un allargamento della coscienza e non verso una sua distruzione ed un assoggettamento delle volontà a forme di controllo dispotiche.

Ma non promuoviamo momenti di scarico emozionale puramente catartici che poi servono a mantenere le identità preformate e rigide dei rapporti sociali predeterminati. Cerchiamo invece di sviluppare e favorire tutte quelle forme di liberazione da ruoli tradizionali ormai ridotti a simulacri perché i desideri possano realizzare i legami sociali di nuove comunità fondate sul rispetto delle differenze e sulla valorizzazione della creatività.

Su Leonardo Montecchi

Psichiatra, psicoterapeuta, direttore della scuola di prevenzione Josè Bleger
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