Istituzioni sanitarie ed inversioni ad U

Questo contributo vorrebbe, attraverso la condivisione del resoconto che segue, stimolare la riflessione intorno alla tortuosità che assumono certi percorsi macroistituzionali nell’ ambito delle politiche sanitarie.

Il settore di intervento è quello delle Dipendenze Patologiche, il riferimento spaziale è il territorio regionale delle Marche.

All’interno di questo inquadramento, inaspettatamente, qualche anno fa, a livello dei vertici decisionali regionali si è consolidato un movimento volto a produrre e a sostenere interventi organizzativi ed operativi costruiti secondo il paradigma della complessità; inaspettatamente, in quanto questo orientamento cozzava con la storia precedente di un settore, quello delle Dipendenze Patologiche, che era stata sempre caratterizzata, come d’altra parte su tutto il territorio nazionale, dallo stigma della scarsa importanza, della scarsa significatività e dei “ brutti, sporchi e cattivi”, assegnato agli utenti dei Servizi, e anche agli operatori; ma l’elemento di sorpresa era dato anche dal fatto che l’orientamento medesimo è stato poi accompagnato da un’attenzione effettiva e forte posta dagli stessi vertici all’ottenimento dei risultati attesi, e questa determinazione non era affatto scontata.

Improvvisamente, però, ecco che si presentano recentissime manovre che sembrano voler restaurare l’ordine della disattenzione istituzionale alla gestione dei fenomeni complessi che caratterizzano questo ambito di intervento sociosanitario.

In un batter d’occhio, infatti, è stata approvata pochi giorni fa una legge di riordino del sistema sanitario regionale che vede la soppressione delle Zone Territoriali e la configurazione della gestione del territorio della regione in cinque Aree Vaste.

 

Resta al vertice, ma forse ancora per poco, la ASUR, la Azienda Sanitaria Unica Regionale, alla quale prima le 13 Zone, ora le 5 Aree Vaste, devono far capo, per ciò che attiene la personalità giuridica.

L’Ente che programma e dispone è invece il Dipartimento della Salute, organismo della Amministrazione Regionale.

Le ricadute e la destabilizzazione organizzativa riguarderanno ovviamente tutto il campo sanitario regionale, ma qui interessa focalizzare l’attenzione nel settore specifico delle dipendenze, nel quale la tortuosità dei percorsi sembra in grado di spiccare più che mai, e di manifestare gli effetti più paradossali.

Per via dell’assetto precedente, determinato con una delibera di giunta, la 747 del 2004, infatti, erano stati configurati 9 Dipartimenti delle Dipendenze, 5 Zonali e 4 sovrazonali (costituiti da due Zone limitrofe di ridotte dimensioni), che ancora esistono, ma non sappiamo per quanto, dato che la citata legge recentemente approvata prevede un accorpamento di tutti i Dipartimenti di qualsivoglia natura, ospedalieri e non, secondo una dimensione provinciale, o, appunto, d’area vasta.

Quell’assetto dipartimentale era stato pensato e costituito qualche anno fa, per via di quella forte ed “ illuminata” azione regionale di cui si parlava poc’anzi, nell’intento di rendere omogenea, coerente e facilmente percorribile la filiera degli interventi, che si volevano configurati in forma integrata, transdisciplinari, multiprofessionali e interistituzionali: per il perseguimento di tali obiettivi, la dimensione dipartimentale è stata sancita determinando una coesistenza, all’interno del dispositivo dipartimentale stesso, delle realtà di settore del Servizio Pubblico e di quelle del Privato Sociale insistenti sul medesimo territorio zonale.

Il forte intento regionale di allora è stato poi confermato dalla decisione di costituire un gruppo Dipendenze Patologiche presso la Cabina di Regia regionale per l’ Integrazione Sociosanitaria, organismo centrale di analisi e programmazione, costituito da rappresentanti dell’Assessorato preposto, dell’Agenzia sanitaria regionale, dell’Asur, e integrato da tecnici del pubblico e del privato sociale; tale gruppo ha potuto, tra le altre competenze, articolare, come gli era stato commissionato dai livelli decisionali, la definizione di Linee Guida per l’applicazione di Percorsi Assistenziali Integrati a favore dell’utenza, documento che è poi stato deliberato dalla Giunta Regionale con l’atto 154/09.

Ma non è tutto, perché in seguito le istituzioni sanitarie regionali hanno anche voluto predisporre per gli operatori dipartimentali un percorso di accompagnamento coordinato da formatori esterni, affinché fosse assicurata la corretta applicazione delle linee guida stesse.

Tutto questo percorso ha permesso di dare forma, sostanza e riconoscimento istituzionale, tra altri aspetti molto significativi, anche alla pratica della psicoterapia all’interno di questi specifici presidi sanitari: la declinazione dei progetti trattamentali secondo una formulazione integrata, infatti, e la costruzione dei percorsi assistenziali secondo un modello transdisciplinare e multiprofessionale, sancite con determina, ha reso l’uso di questa disciplina imprescindibile ed ineludibile, ed ha fatto sì che, al di là dello specifico esercizio di attività psicoterapiche intese in senso stretto, l’intero impianto di questi Servizi, l’intera modalità operativa, potessero essere orientati secondo i parametri di questo paradigma.

Le dimensioni dipartimentali territoriali di Zona che erano state stabilite hanno permesso, proprio per via della loro definizione spaziale, la faticosa realizzazione di questo dialogo tra realtà operative di differente provenienza ed appartenenza, tra professionisti di diverso orientamento: hanno svolto, se così si può dire, la funzione di un setting, dove sono stati stabiliti ed utilizzati tempi e spazi per il confronto, la valutazione e la progettazione, dove sono stati riconosciuti e definiti i ruoli specifici degli integranti e dove contemporaneamente si è potuto elaborare il contenuto di un compito condiviso.

Ma con un improvviso ribaltone che sembra l’effetto di un episodio di dissociazione politica ed istituzionale, in un attimo questo rischia di non essere più vero: secondo il contenuto di questa ultima legge, infatti, questi luoghi rischiano fortemente, da un giorno all’altro, di non esistere più.

La forte volontà antecedentemente espressa sembra essersi liquefatta.

In fin dei conti forse non c’è da sorprendersi, lo dicevamo all’inizio, l’attenzione istituzionale alla importanza della configurazione, della stabilità e della permanenza dei tempi e degli spazi per l’elaborazione delle complessità in ambito sociosanitario è sempre stata vicina allo zero, e proprio questo è uno degli aspetti che ha sempre reso difficoltoso l’esercizio delle attività integrate nella sanità pubblica: non è altro che la restaurazione di un ordine scisso e semplificante, fortemente radicato nelle coscienze dei gestori del settore.

Invece c’è un secondo aspetto, quello che riguarda l’implicazione dei professionisti, che è significativamente degno di riflessione : di fronte a queste difficoltà e di fronte alle continue destabilizzazioni nei nostri settori che hanno bisogno, al contrario, di un’attenzione alla salvaguardia dei contenitori che permettono l’esecuzione di processi complessi, noi operatori tacciamo.

A volte sbalorditi e privi di reazione come pugili suonati, altre volte persino un po’ conniventi, sembriamo noi stessi perversamente affascinati da approcci molto semplificanti e dai richiami seducenti del riduzionismo: se ci riferiamo ancora all’esperienza nel settore delle Dipendenze, occorre rilevare che il processo di costruzione interistituzionale del Dipartimento è stato osteggiato in certa misura proprio da chi lavora nel campo: la transdiciplinarietà, la multiprofessionalità, la ricerca della convergenza di obiettivi tra soggetti appartenenti a realtà operative differenti in qualche caso sono state proprio dagli stessi operatori considerate alla stregua di strade impercorribili, esplicitamente o attraverso comportamenti impliciti. E’ stata persino invocata la tematica relativa alla normativa sulla privacy per proclamare che il confronto tra i professionisti, ancor peggio se di diverse discipline o appartenenze, non sarebbe nemmeno giuridicamente consentito.

Le prospettive fortemente incerte che riguardano questi assetti dipartimentali, per paradosso un tempo fortemente voluti dai vertici stessi delle Istituzioni sanitarie e sociali, producono la paura di veder disperdere costruzioni concettuali ed esperienze che è stato possibile formulare con fatica nel corso degli anni, e inducono a cercare modalità attraverso le quali poter conservare e condividere almeno alcune testimonianze: con questo obiettivo, è sembrato utile far conoscere il contenuto della relazione che i vertici regionali e dell’Asur hanno a suo tempo commissionato a chi scrive in quanto membro tecnico del Gruppo di progetto Dipendenze Patologiche della Cabina di Regia per l’ Integrazione Sociosanitaria; questa relazione aveva il compito di illustrare ai colleghi di tutti i dipartimenti regionali, all’interno di una giornata di studi congiunta organizzata per dare l’avvio al percorso formativo di accompagnamento, l’iter analitico, concettuale e progettuale che ha portato durante i lavori della Cabina alla formulazione delle Linee Guida per la predisposizione dei Percorsi Assistenziali Integrati a favore degli utenti dei Dipartimenti delle Dipendenze della Regione Marche:

“Le risultanze del lavoro della Cabina di Regia nella costruzione delle Linee Guida per i Percorsi Assistenziali ed Organizzativi dei DDP della Regione Marche.”

Con questo elaborato si intende riferire sul percorso che la Cabina di Regia, in particolare il Gruppo di Progetto Dipendenze Patologiche della Cabina di Regia per l’ Integrazione Sociosanitaria, ha svolto per addivenire alla definizione di quanto poi deliberato con la Dgr 154/09, in merito alla costruzione dei Percorsi Assistenziali presso i Dipartimenti Dipendenze Patologiche del territorio regionale.

Innanzi tutto, occorre l’occasione per evidenziare l’importanza che sia stato costituito un Gruppo, presso i luoghi di governo regionale in materia di sanità e di integrazione sociosanitaria, al quale è stato assegnato un compito specifico per il monitoraggio, la programmazione, la progettazione di quanto attiene al nostro peculiare settore. Questo fatto ha consentito di portare l’attenzione delle istanze direzionali, gestionali, programmatorie e tecniche del governo regionale in maniera specifica sui temi che riguardano il nostro operato, e questo deve essere letto come un riconoscimento importante della specificità del settore del quale ci occupiamo, e anche del paragdima della complessità che lo caratterizza.

Esattamente questo paradigma ha da ormai molto tempo distinto il nostro ambito, per ciò che riguarda la multifattorialità etiopatogenetica dei problemi dei quali ci occupiamo, i temi della multiprofessionalità e della transdisciplinarietà che si sono dovuti necessariamente mettere in campo per organizzare le risposte trattamentali, gli aspetti interistituzionali che obbligatoriamente abbiamo dovuto considerare nell’articolazione dell’operato e degli interventi;

Già con la promulgazione della legge 309/90, e dei decreti ad essa collegati ed immediatamente successivi, avvenuta ormai venti anni fa, il paradigma della complessità nel settore degli interventi relativi alle Dipendenze Patologiche era stato adombrato. Per quanto quella legge manifesti alcuni livelli di ambiguità , in particolare per ciò che riguarda l’approccio concettuale al problema delle dipendenze, che per un verso sono considerate un comportamento sanzionabile penalmente, e per l’altro una patologia, essa esprime un’attenzione puntuale ed elaborata al problema, e determina, tra le tante altre cose, la costituzione dei Servizi specifici che dovevano essere configurati per l’approccio sanitario e sociale a questa tematica. Già si definivano le questioni della imprescindibilità della costituzione, in tali Servizi, di équipes multidisciplinari e multiprofessionali, e si definiva normativamente una necessità di integrazione degli aspetti di carattere sociale e sanitario nella lettura dei fenomeni e nell’articolazione degli interventi.

Ciò significa che l’impianto normativo si riferiva ad una concezione soggiaciente, relativa all’inquadramento etiopatologico della problematica, che è quella della genesi multifattoriale, fisico-biologica, psichica, relazionale, sociale dei fenomeni di dipendenza.

Inoltre, nel definire i rapporti che i Servizi avrebbero dovuto instaurare ed elaborare con altre Istanze istituzionali per l’articolazione degli interventi, la 309 già evidenziava il pensiero che questa categoria di problematiche deve essere letta come un emergente che attraversa gli ambiti non solo individuali, ma anche familiari, istituzionali, comunitari e collettivi.

Anche il concetto del lavoro in rete, che poi è successivamente diventato il riferimento che è stato utilizzato in tanti settori di intervento sanitario e sociale, è stato sperimentato pioneristicamente dai nostri Servizi, quanto meno per necessità operative: abbiamo da molto tempo iniziato una riflessione sui dispositivi possibili che sono utilizzabili nella costruzione di un lavoro in rete nelle situazioni complesse, e per quanto ha riguardato il nostro specifico campo di intervento le reti di cui parliamo fanno riferimento soprattutto al necessario collegamento che i Servizi Pubblici hanno costruito con gli ambiti del Privato Sociale, i quali storicamente hanno organizzato offerte trattamentali di carattere semiresidenziale e residenziale nel nostro territorio; ma anche, e con carattere di cogenza sempre più manifesto negli ultimi tempi, per via di necessità cliniche particolari sempre più evidenti, con Servizi di confine, quali i Dipartimenti Materno Infantili, i Dipartimenti di Salute mentale, i Servizi Sociali degli Enti Comunali.

La riflessione sulle reti e sulla loro costituzione, che è stata affrontata anche all’interno del Gruppo di progetto prima della stesura delle linee guida, ha riguardato il confronto in particolare tra due differenti modelli, quello del sistema monocentrico e quello del sistema multicentrico. Il sistema monocentrico prevede che ci sia una centrale operativa attorno alla quale ruotano molti altri sistemi posti in una situazione di dipendenza diretta da questo ipotetico centro direzionale, quello multicentrico prevede che tutti i sistemi siano centro di operazioni, e che si configurino tutti in una situazione di interdipendenza fra loro, individuando il luogo all’interno del quale le risultanze relative alla comunicazione fra i centri operativi medesimi debbano essere depositate ed elaborate.

Quindi da sempre, ribadiamo, i nostri Servizi si sono caratterizzati per una gestione di problematiche e di azioni che attengono al paradigma della complessità.

E questo in grande anticipo rispetto ad altri settori che prevedono interventi in materia sanitaria e che sono articolati secondo l’ottica della integrazione con l’ambito del sociale.

Siamo stati pionieri in questo senso, e si è ritenuto opportuno rimembrare consapevolmente questa nostra specifica provenienza ed appartenenza, che troppo spesso viene disconosciuta a livello collettivo, ma anche da molti ambiti che appartengono alle stesse istituzioni sanitarie, e quel che è più grave ancora, persino al nostro stesso interno.

Non dobbiamo cioè dimenticare che nel nostro operato ventennale abbiamo necessariamente costruito un patrimonio di conoscenze e di esperienze relative alla multiprofessionalità, alla transdiscipinarietà, al lavoro in èquipe, al lavoro di rete , all’intervento interistituzionale, all’interazione e alla integrazione, e che queste acquisizioni in molti casi sono servite da silenzioso esempio per altri settori che poi si sono articolati secondo le stesse modalità..

Il lavoro del Gruppo di Progetto della Cabina di Regia, che si è concentrato quindi sulla costruzione di Linee Guida che indicassero i migliori Percorsi Assistenziali applicabili all’interno dei nostri Dipartimenti, si è configurato mirando costantemente al recupero di questa memoria e di queste evidenze, che nel tempo si sono sviluppate nel nostro territorio regionale come patrimonio di buone prassi condivise tra il Pubblico ed il Privato, ed ha inteso ridefinirle e precisarle, per far sì che potessero essere declinate in modo sempre più puntuale ed operativo, e quindi anche più visibile e valorizzabile.

Altro obiettivo centrale, esplicitato decisamente all’interno delle discussioni che il Gruppo ha svolto, è stato quello di uniformare su tutto il territorio regionale alcune risposte organizzative all’interno delle realtà Dipartimentali affinchè potessero essere date delle risposte il più possibile omogenee, chiare e comprensibili, efficaci ed efficienti agli assistiti.

Inoltre, la scelta di procedere attraverso la configurazione di Linee Guida e la volontà di costruire la esplicitazione di Percorsi Assistenziali scaturiscono anche dalla tensione ideale verso lo sviluppo dei processi di integrazione nella esecuzione di interventi in materia sociosanitaria.

Il valore intrinseco dei processi di integrazione per ciò che riguarda l’impostazione e l’esecuzione delle azioni è estrapolato dalla applicazione al nostro settore di posizioni concettuali che si riferiscono a tematiche inerenti la programmazione sanitaria, e che attengono ai filoni di pensiero della Medicina basata sulle Prove di Efficacia, del Miglioramento continuo della qualità e della Riduzione del rischio clinico.

Secondo il sistema della Medicina basata sulle Prove di Efficacia, che è applicato ormai diffusamente ai settori di intervento ad alta integrazione sanitaria e sociale, occorre individuare, date le risorse che sono disponibili, la miglior concatenazione di atti che possa dare i risultati più vicini a quelli idealmente considerati ottimali, secondo un sistema di confronto con le pratiche registrate come efficaci nella letteratura internazionale pubblicata.

Nell’elaborare le Linee Guida non si è trattato di dare indicazioni su come si deve procedere clinicamente per dare i migliori risultati, dato che si è considerato che ogni équipe multi professionale abbia in tal senso un patrimonio consolidato e verificabile, e anche perché non esistono studi in letteratura internazionale che abbraccino le risultanze di un campo tanto complesso come il nostro, nel quale persino la definizione di miglioramento o, più ancora, di guarigione non è ben definita e condivisa.

Ma si è trattato di portare su un piano operativo quanto stabilito a livello normativo in merito alla gestione del nostro ambito complesso, per non rischiare che rimanesse sulla carta il frutto delle nostre norme molto articolate ed avanzate, e di riferirsi a quanto riportato in letteratura internazionale sul tema della integrazione degli interventi in materia di dipendenze, laddove emerge comunque che il minor numero di ricadute sintomatologiche si evidenzia quando l’ intervento si articoli secondo i criteri della interazione e integrazione multiprofessionale, multidisciplinare ed interistituzionale.

A livello di miglioramento della qualità , altro scopo che ci si è dato, in qualche modo comunque compreso in quello di costruire percorsi il più possibile omogenei, chiari ed efficaci e trasmissibili all’utenza e da questa comprensibili, è stato quello di ridurre al minimo i rischi di scollegamento e di frammentazione operativa nella costruzione degli interventi a favore dei nostri utenti, data la configurazione complessa che i Dipartimenti presentano, nella loro composizione costituita da Istituzioni che appartengono al Pubblico ed al Privato.

Il sistema di offerta del Privato sociale e quello del Servizio Pubblico devono, nel nostro settore, per via degli effetti della Dgr 747, elaborare strategie condivise, utlizzare tattiche vicendevolmente comprensibili ed implementabili, applicare tecniche che possano essere reciprocamente conoscibili e riconoscibili, condividere mezzi e risorse per il funzionamento di un sistema complesso che li vede attori nel medesimo scenario, al fine di produrre azioni cliniche efficaci per gli utenti, attraverso un insieme di azioni coordinate tra loro.

Questo è un elemento di grande complessità, perché al di là delle buone prassi consolidate in tema di lavoro di rete e di collaborazione, resta sempre il fatto che questi due settori di intervento provengono da assetti ed appartenenze istituzionali differenti, e la nuova configurazione che li riunifica in un unico organismo richiede che debbano essere indicate delle modalità omogenee, dei veri e propri percorsi all’interno dei quali far procedere gli utenti, e attraverso i quali sostenere questo livello di condivisione degli obiettivi.

Il tema del controllo del rischio clinico si declina nel nostro caso tenendo presente che anche l’aspetto organizzativo con il quale si concatenano le azioni e gli eventi trattamentali ha un effetto significativo sulla giusta esecuzione degli atti, e che un buon assetto nell’ambito dell’organizzazione riduce grandemente i rischi di malfunzionamento del sistema ed infine di esecuzione di azioni cliniche improprie, includendo in queste quelle che apportano danni diretti all’utenza, come l’evento infausto della morte o del peggioramento dello stato di salute, o danni indiretti, come quando il sistema non è in grado di svolgere le funzioni per le quali è stato creato, e quindi risulta inefficace.

Riferendosi ad ognuno di questi ambiti di programmazione sanitaria, quindi, lo strumento che è stato ritenuto più appropriato è risultato quello delle Linee Guida, calibrate sulla costruzione dei Percorsi di Assistenza.

Le Linee Guida sono infatti, secondo le definizioni maggiormente condivise, uno strumento che si usa per emanare raccomandazioni di comportamento, perseguendo uno scopo orientativo, quindi abbracciano un piano specificamente operativo dopo quello normativo, e sono elaborate da un livello direzionale tenendo presente l’appropriatezza degli interventi e le prove di efficacia; sono costruite attraverso la partecipazione di tutte le discipline interessate e di altri esperti di programmazione, tengono presente tra le prime istanze la questione della chiarezza, che permetta una comprensibilità anche da parte del cittadino, seppur attraverso una versione non tecnica da produrre, attraverso per esempio lo strumento della Carta dei Servizi, prevedono la declinazione di strategie per permetterne l’applicazione, e sono passibili di revisione periodica..

I Percorsi Assistenziali, e anche qui ci riferiamo alle definizioni maggiormente condivise, consistono nella descrizione di una sequenza di azioni pianificate e coordinate, alle quali partecipano varie professionalità o discipline, centrate sul cittadino che entra nel sistema e che deve quindi poter contare sulla possibilità di percorrere un processo , che richiede l’intervento integrato delle professionalità e delle istituzioni interessate, azioni che sono finalizzate a ricondurlo alla miglior condizione di benessere possibile.

Sono uno strumento per la riduzione del rischio clinico, in quanto richiedono di strutturare percorsi organizzativi adeguati alla produzione di un obiettivo di trattamento condiviso. La multidisciplinarietà, la fattibilità, l’accessibilità, la misurabilità, sono le caratteristiche che le contraddistinguono. I percorsi devono rispondere alle domande: Quale è il percorso? Perché’? Chi fa cosa? Dove? Quando? Come? Con quali risultati?

Quindi, date tutte queste premesse concettuali, si evince come il Gruppo di Progetto abbia scelto di elaborare questo strumento, le Linee Guida appunto, e di calibrarlo introno al trema della creazione e configurazione dei Percorsi Assistenziali nel nostro settore.

Naturalmente, data la configurazione dei nostri Dipartimenti secondo quanto stabilito dalla Dgr 747, che li articola, come sappiamo, secondo una integrazione di luoghi di intervento che appartengono sia all’ambito istituzionale Pubblico che all’ambito del Privato Sociale, per giungere alla configurazione del documento sui Percorsi Assistenziali è stato necessario all’interno del Gruppo, come già preannunciato, anche ripensare sul tema degli interventi di rete.

Ci è sembrato che il dispositivo multicentrico potesse meglio rendere operative le istanze normative che sono state espresse nella Determina di riordino

Il sistema multicentrico è stato considerato il più adatto a dare corpo alle configurazioni previste nella Dgr 747, perché garantisce una effettiva comunicazione fra tutti i centri operativi della rete , superando il sistema per cui ogni singolo luogo di intervento si relaziona solo con l’ipotetico centro direzionale.

Questo concetto del sistema di rete multicentrico è rappresentato nelle linee guida dalla seguente istanza: tutte le realtà operative del privato e del pubblico che afferiscono al Dipartimento possono configurarsi come luoghi della prima accoglienza degli utenti all’ingresso nel sistema, ed esiste in secondo luogo un unico contenitore condiviso e presenziato da tutte le realtà operative, all’interno del quale si processano le richieste che sono pervenute, perché possano poi essere assunte decisioni diagnostiche, trattamentali e valutative elaborate congiuntamente.

Le Linee Guida per i Percorsi Assistenziali ed organizzativi sono costruite tenendo presenti esplicitamente, in qualità di interlocutori, gli utenti del sistema: è chiaro peraltro che il forte impianto transdisciplinare ed interistituzionale richiesto per il funzionamento di tale assetto organizzativo debba prevedere che gli stessi operatori dei diversi ambiti professionali disciplinari e istituzionali siano inseriti in una funzione di processo, affinché la loro interazione divenga un effettivo percorso di tensione verso un compito condiviso.

Per questo motivo nelle medesime Linee Guida è posta molta enfasi sulla necessità che funzioni il dispositivo delle riunioni cadenzate delle équipes multidisciplinari.

La riunione di équipe è equiparabile ad un setting permanente, all’interno del quale è contenuto il processo complesso, che altrimenti rischierebbe di procedere in modo frammentato, scisso o dissociato; tale setting deve essere costituito pertanto da parametri quali il luogo dove il processo si svolge, i tempi, i ruoli rispettivi che dovrebbero essere mantenuti ed il compito operativo condiviso .

Sappiamo che tutta questa operatività legata a tanta complessità deve essere, al di là delle buone prassi storicamente consolidate di cui abbiamo parlato spesso, in qualche modo elaborata e messa a punto, soprattutto per ciò che concerne il tema della condivisione dei linguaggi da parte di realtà che provengono da storie ed organizzazioni differenti, e che sono configurate secondo appartenenze istituzionali che finora sono state distinte.

Le stesse esperienze trattamentali possono essere diversificate, le stesse concezioni che si hanno rispetto alla definizione della dipendenza in quanto fenomeno clinico possono divergere.

Abbiamo ritenuto quindi (ed in questo senso c’è stata una coincidente osservazione del Comitato Interdipartimentale delle Dipendenze Patologiche, al quale il documento è stato illustrato in itinere perché potessero essere espresse osservazioni) che anche per gli operatori fosse necessario l’avvio di un percorso-processo ben definito, coordinato da accompagnatori, che possano sostenere gli attori nel confronto e nella costruzione dei dispositivi che ritengano più adatti per poter applicare i principi delle Linee Guida nella propria specifica realtà operativa.

In questo senso si è configurata la definizione del percorso formativo di accompagnamento, all’interno del quale i formatori possono essere pensati come i rilevatori delle difficoltà comunicative od attuative, affinché queste possano essere superate, o i testimoni delle funzioni che invece procedono armoniosamente, e che quindi possono essere rafforzate.

<!– @page { margin: 2cm } P { margin-bottom: 0.21cm } –>

Marella Tarini

 

Coordinatore DDP Zona 4 – Senigallia – Asur Marche

 

Membro tecnico del Gruppo di Progetto Dipendenze Patologiche

 

Cabina di Regia Integrazione Sociosanitaria

Ancona, 19 maggio 2010

 

Marella Tarini

Coordinatore DDP Zona 4 – Senigallia – Asur Marche

Membro tecnico del Gruppo di Progetto Dipendenze Patologiche

Cabina di Regia Integrazione Sociosanitaria

Ancona, 19 maggio 2010

This entry was posted in Interventi. Bookmark the permalink.