E.C.R.O. (Schema concettuale di riferimento operativo): strumento che definisce il colloquio gruppale

di Annalisa Valeri

(La lezione si tiene all’interno di un corso di formazione sulla Concezione Operativa di Gruppo ed è la seconda di un ciclo. Dopo l’informazione gli ascoltatori si riuniscono in un gruppo, coordinato e osservato da docenti della Scuola Bleger)

Partiamo da alcuni concetti che definiscono che cos’è un gruppo.
Pichon Rivière definisce un gruppo operativo come quell’insieme di persone riunite dentro una cornice di variabili costanti, che si integrano fra di loro attraverso una mutua rappresentazione interna e che si prefiggono un compito. Il compito è l’elemento di urgenza, di necessità che convoca le persone a raggrupparsi e ad iniziare un lavoro comune.
Per farlo il gruppo ha bisogno di una cornice stabile, all’interno della quale sviluppare il proprio processo gruppale. Alcuni elementi costituiscono un contenitore solido e stabile nel quale le persone possono trovarsi, vale a dire uno spazio, un tempo, dei ruoli e un compito.

Questo è il setting, condizione necessaria perché possa avvenire il lavoro del gruppo.Ha la stessa importanza dell’allestimento di una sala operatoria, con la sterilizzazione degli strumenti, la preparazione di un posto protetto, all’interno del quale possa avvenire, in condizioni di sicurezza, l’intervento. La cornice di variabili costanti è proprio questo. All’interno dell’esperienza on line che stiamo vivendo è già avvenuta un’importante modifica rispetto allo spazio. Non siamo più in un luogo fisico tutti insieme. Ognuno accede a questo spazio da un ingresso differente e personale. Che spazio è questo in cui ci stiamo riunendo? Dove siamo? Che caratteristiche ha questo cyber spazio in cui siamo? Qualcuno di voi può avere un gatto sulle ginocchia, un bimbo che si intrufola per curiosità e viene a vedere lo schermo, un campanello che suona. Sono tutti elementi che rendono differente lo spazio, lo hanno trasformato. Il nostro insieme di variabili costanti ha subito un cambiamento che non abbiamo scelto, ma di cui dobbiamo tenere conto. Nel senso che influenzerà il processo gruppale, entrerà a farne parte. Anche il tempo subisce un cambiamento. Il tempo cronologico dell’orologio assume un significato diverso quando lo si sperimenta on line. Potrebbe sembrare più lungo o più intenso. Il ruolo che avranno i coordinatori subirà delle modifiche: come si interpreta, cosa si osserva in una modalità on line? Come passano le informazioni e le emozioni con questo strumento? Stiamo sperimentando e siamo tutti, voi inclusi, ricercatori.

Ma veniamo al tema dell’informazione di oggi. Nella definizione di gruppo oltre che del setting si parla di mutua rappresentazione interna. Questo sarà il tema su cui ci soffermeremo, che costituisce uno strumento di lavoro per il gruppo. E’ un prodotto del gruppo e lo strumento attraverso cui il gruppo può affrontare la realtà, occuparsi del suo compito concreto, comunicare.

L’ECRO o mutua rappresentazione interna, è uno strumento che serve all’apprendimento.
Torniamo per un attimo al racconto dell’avvio della Concezione Operativa, che è avvenuta all’interno di un’esperienza concreta all’Ospedale Las Mercedes di Buenos Aires. Questa situazione di necessità, che ha spinto Pichon Rivière a formare i primi gruppi, ci serve per chiarire l’idea dell’apprendimento e della conoscenza all’interno della Concezione Operativa. Il tipo di apprendimento che vuole sviluppare la Concezione Operativa nasce dalla prassi, dall’esperienza concreta.

L’esperienza dei gruppi all’interno dell’Ospedale Las Mercedes, ad esempio, ha permesso una prima elaborazione teorica di che cosa sono i gruppi, qual è il loro compito, elaborazione che deve trovare riscontri nella pratica, per poi poter essere ulteriormente modificata e arricchita a livello teorico.
L’idea dell’apprendimento e della conoscenza è quindi un percorso a spirale, che nasce dalla pratica, diventa teoria e ritorna nella pratica, in un processo senza fine. Questo è il modello di apprendimento che vi proponiamo sia teoricamente che praticamente, attraverso l’esperienza che farete.
L’idea dell’apprendimento da cui prende le distanze la Concezione Operativa è quella relativa ad una trasmissione di contenuti che dovrebbero semplicemente passare dall’insegnante, nella figura di supposto sapere, all’allievo che dovrebbe incamerare abilità, informazioni, valori ed adattarsi passivamente alla struttura sociale di cui
fa parte.

Pichon Riviere definisce la salute mentale e la malattia in termini relativi e situazionali ed in relazione ad un adattamento passivo o attivo della realtà. Il soggetto sano è colui che prende l’informazione, la destruttura, aggiunge, la trasforma e la usa poi nella realtà per modificarla. Se la persona apprende dovrebbe essere in grado di applicare le proprie
conoscenze alla realtà concreta, di cambiarla e allo stesso modo di poter cambiare internamente. L’insegnamento deve quindi permettere che si elaborino contraddizioni e conflitti presenti durante il processo di apprendimento per poter applicare le conoscenze alla pratica.

La conoscenza non avviene con un’idea cumulativa delle informazioni.
Questo significa che per esempio l’informazione che state sentendo non può essere pensata come un “libro” da aggiungere alla vostra biblioteca di informazioni, se per biblioteca intendiamo l’insieme di conoscenze che ci caratterizzano. Non possiamo semplicemente aggiungere un elemento e tenere tutti gli altri elementi di conoscenza immobili. Perché avvenga un reale apprendimento dobbiamo rifarci ad un’idea geometrica. Perché un’informazione venga realmente appresa occorre farle spazio,
modificare tutto l’insieme di informazioni che abbiamo, buttare alcune cose, tenerne delle altre, modificare i rapporti fra l’una e l’altra, come un mobile che vogliamo disporre in modo armonico all’interno di uno spazio già pieno. Questo ci porta alla consapevolezza che questo processo non è semplice, non è neutro, suscita difficoltà, emozioni, resistenze.

Nella Concezione Operativa l’idea è che la conoscenza avviene attraverso un’interdisciplinarietà, un’Epistemologia Convergente. Alcuni concetti di una scienza possono servire all’apprendimento di un’altra scienza, con un’idea di travaso fra una disciplina ed un’altra. Ogni disciplina cioè ha dei nuclei di base che possono essere utili anche nelle altre scienze. Ecco perché le scienze così riunite, possono apportare elementi per la creazione di uno strumento unico concettuale e operativo con cui affrontare la realtà.

Il gruppo che andrete a fare ed in generale i gruppi di apprendimento si situano intorno all’informazione, lo affrontano da vari punti di vista.
L’informazione che vi sto portando costituisce una situazione intorno alla quale ognuno di voi potrà contribuire da una visuale differente. La Concezione Operativa prevede che il lavoro gruppale sarà tanto più ricco quanto più, rispetto all’omogeneità del compito, ci sia un’eterogeneità dei partecipanti. Ognuno potrà portare visuali differenti che arricchiscono
il lavoro sul compito. L’apprendimento in gruppo è qualcosa di diverso rispetto all’apprendimento individuale. Teniamo presente questo concetto rispetto all’Ecro, di cui andiamo a parlare ora.

La parola E.C.R.O significa Esquema Conceptual Referencial y Operativo, in italiano Schema Concettuale di Riferimento operativo, ed è l’insieme di tutte le conoscenze, esperienze, sentimenti con cui guardiamo il mondo, pensiamo ed agiamo. E’ cioè una griglia con cui interpretiamo la realtà che si crea nel corso del tempo. E’ uno schema cognitivo ed affettivo, contiene informazioni ma anche emozioni e sentimenti. Ha a che fare con la nostra identità.

Ognuno di noi struttura nel tempo un proprio schema di riferimento che nasce dalle esperienze all’interno della famiglia, del proprio tessuto sociale, dalle informazioni che si apprendono nel corso del tempo e che vanno a strutturare una griglia, un filtro con cui si interpreta la realtà e si comunica con gli altri. L’humus da cui nasce è la famiglia, il primo ambito di esperienza della persona. Nel corso del tempo questo schema cambia, attraverso altre esperienze, conoscenze apprese, situazioni vissute. Dalla famiglia per esempio, lo schema può modificarsi con la partecipazione ad un gruppo di amici, da cui si apprendono cose diverse, parole che si condividono solo all’interno del gruppo e che rappresentano aneddoti, valori, ricordi. Tutte queste cose vanno ad arricchire e modificare il nostro
schema di riferimento, l’ECRO.

Un altro concetto utilizzato dalla Concezione Operativa è quella di gruppo interno. Un gruppo è composto da personaggi, ma anche da oggetti parziali, situazioni ed emozioni. La persona dall’infanzia internalizza personaggi della sua vita, emozioni, vincoli e inizia a dialogare con il proprio gruppo interno, che nel corso del tempo può ampliarsi, modificarsi. Alcune voci saranno molto forti e influenzeranno prepotentemente i nostri pensieri e comportamenti, altre entreranno nel corso del tempo, mitigheranno alcuni dialoghi, li trasformeranno. In una terapia familiare che ho seguito si parlava di un nonno che si era innamorato di una ragazza benestante del paese e del fatto che il padre della ragazza aveva espresso il proprio rifiuto dicendo che il nonno non era abbastanza ricco e abbastanza colto. Per tutta la vita il nonno aveva continuato a cercare di affermarsi economicamente, aveva spinto fortemente perché le figlie andassero a scuola. Nel gruppo interno di quest’uomo la voce del padre della ragazza era stata estremamente influente e l’uomo si era trovato a dialogare con questa voce un po’ persecutoria per tutta la vita.
Un individuo è sano se mantiene un intergioco costante fra la realtà che vive ed il proprio schema di riferimento, il quale deve modificarsi, in modo complessivo, in base all’esperienza pratica e fornire la possibilità di interpretare la realtà ad un livello più elevato, in un processo a spirale.

Per capire questo vi riporto l’esempio di Keplero (1600), il quale trova dei dati che non confermano la teoria delle orbite circolari dei pianeti del sistema solare. Questa informazione, proveniente dalla realtà, è in contrasto con lo schema di riferimento. Allora, avviene un apprendimento se la persona è in grado di modificare in modo complessivo il proprio schema di riferimento (come per far entrare il mobile di cui parlavamo prima nella stanza ammobiliata). Se questo non succede l’informazione può anche essere incamerata, ma verrà trattata come una bizzarria, una stranezza all’interno di uno schema di riferimento rigido.

Un altro esempio può essere rappresentato dalla dott.ssa Malara che scopre il paziente 1 ammalato di Covid a Cremona. Lo schema di riferimento medico non prevedeva la presenza del Covid in Italia. Ma i dati davano un quadro del paziente che non si spiegava con le conoscenze ed i protocolli istituiti. Allora, la presenza di un elemento nella realtà che non corrispondeva allo schema di riferimento, ha prodotto una pressione che poi ha portato la dott.ssa a forzare il protocollo e scoprire il paziente 1. Non è stato un processo semplice, la dott.ssa ha incontrato resistenze e critiche, ha dovuto assumersi la responsabilità di fare il tampone e permettere la modifica dello schema di riferimento (e anche di salvare la vita del paziente 1).

Se lo schema si sclerotizza la persona si “ammala”, non è più in grado di apprendere dall’esperienza e proietta sul mondo reale il proprio mondo interno in maniera rigida e ripetitiva. Si potrebbe anche dire che se il gruppo interno non riesce più a modificarsi, aggiungere voci e cambiare, la persona non apprenderà più dall’esperienza e riprodurrà in modo stereotipato il proprio mondo interno.
Pichon Riviere dice che per esempio i disturbi di personalità sono tutti disturbi dell’apprendimento.

Anche in questo caso facciamo un esempio. Se nella vita in famiglia una persona vive un vincolo di sfiducia nei confronti delle figure genitoriali questo entra a far parte del suo schema di riferimento. Se nel corso della vita questo schema si irrigidisce, le persone che incontra e che potrebbero modificare l’esperienza vissuta vengono vissute in maniera
distorta, la comunicazione male interpretata e alla fine si riconferma continuamente lo schema di riferimento iniziale. Questo produce un non apprendimento e, a seconda del grado di rigidità, problematiche alla persona in questione che potrebbe continuare a creare relazioni caratterizzate da sfiducia, delusione e allontanamento, appena l’altro commette degli errori.

L’ECRO ha aspetti manifesti, di cui il soggetto è consapevole ed aspetti latenti che agiscono, ma di cui la persona non è consapevole.
Quando entriamo in un gruppo ognuno di noi porta il proprio Ecro, una personale modalità di interpretare il mondo, che nasce dalle esperienze vissute, dalla partecipazione ad altri gruppi a cui abbiamo aderito.
Potremmo dire anche che entriamo con il nostro gruppo interno. La nostra aspettativa è che si sperimenti una situazione più o meno simile a quelle che conosciamo. Ma, se un gruppo inizia a funzionare, le aspettative iniziali non vengono soddisfatte. Il gruppo, nel qui e ora, inizia a funzionare in una direzione differente rispetto a quella pensata da
ognuno dei membri.

Il proprio schema di riferimento, nell’interazione con gli altri integranti che hanno un altro schema di riferimento e nel lavoro sul compito subisce una pressione, una tensione a modificarsi. Il gruppo interno inizia a incontrarsi, scontrarsi con il gruppo esterno.
Potremmo fare l’esempio della persona che ha interiorizzato figure genitoriali di cui non ci si può fidare, che fanno parte del suo Ecro. Nel corso della discussione di gruppo la persona può trovarsi davanti ad un altro membro che le ricorda la madre ed iniziare a provare sentimenti che prova per la madre (rabbia, desiderio di essere ascoltato). Proietta nel proprio comportamento il vincolo che ha con la madre, ma dall’altra parte l’integrante risponde in maniera diversa. Se per esempio la madre si allontana tutte le volte che c’è una discussione, potrebbe succedere invece che l’integrante risponda, stia nella discussione. Questo evento sorprendente produce una pressione nel proprio Ecro, una tensione al
cambiamento.

Questo processo, come dicevamo, non è affatto semplice, non è neutro.
Sviluppa ansie che vengono vissute concretamente all’interno del gruppo.
Se ne parlava già nella informazione precedente, quello che accade è che l’informazione e l’esperienza di gruppo entrano nello schema di riferimento e premono perché alcune idee, concetti si modifichino.
Si può allora sentire un’ansia legata alla confusione (la sensazione di non capire cosa si sta facendo, cosa c’entra l’informazione con quello che si è e che si deve fare, la difficoltà a comprendere che suscita fastidio) oppure più avanti un’ansietà persecutoria (cioè la sensazione di essere sprovvisti di strumenti per affrontare la situazione, la sensazione che non si riuscirà ad affrontarla bene, la diffidenza, la rabbia) e un’ansia depressiva (la difficoltà, il fastidio al pensiero di dover abbandonare delle certezze, strumenti, conoscenze). Queste sensazioni fanno parte dello svilupparsi del processo gruppale, sono necessarie se si vuole produrre apprendimento, cambiamento. La quota di ansia deve essere tenuta dal coordinatore ad un livello ottimale, nel senso che non deve arrivare a
livelli troppo alti disorganizzando il gruppo o attivando blocchi e stereotipie massicce ma non deve essere neanche nulla, segno di un mancato coinvolgimento affettivo, perché non si produrrebbe nessuna variazione, nessun apprendimento.

Ecco allora che una conoscenza, un’esperienza perché produca apprendimento deve mobilizzare, cambiare in modo più globale lo schema con cui interpretiamo il mondo. La difficoltà a mobilizzare il proprio schema di riferimento è spesso legato alla connotazione affettiva, legate all’identità, che hanno per noi alcune informazioni, conoscenze, esperienze: ci teniamo ancorati a certe idee senza permettere che ne entrino di nuove perché le precedenti sono estremamente significative.
Allo stesso tempo però nel gruppo si sperimentano anche altre emozioni, relative ad un vissuto di appartenenza, di affiliazione con gli altri, di collaborazione, di piacere per la condivisione delle conoscenze e delle esperienze degli integranti che può facilitare la strutturazione di un tessuto comune di cui ci si riconosce parte.

Il gruppo lavora se riesce a superare le situazioni dilemmatiche e procedere oltre, con una modalità dialettica. Per farlo è necessario che ognuno perda pezzi di certezza, che sperimenti contraddizioni che creano varchi. In questo modo il gruppo inizia a costruire il proprio schema di riferimento comune, la mutua rappresentazione interna. All’interno di
questo nuovo ECRO ci saranno esperienze vissute nel gruppo, conoscenze, emozioni, sentimenti, di vissuti, di vincoli. E’ ciò che definisce, come è stato detto nella lezione precedente, un noi che ogni persona si porta dentro e con cui affronta la realtà. Possiamo anche dire che l’ECRO corrisponde al gruppo interno, con il quale dialoghiamo
continuamente nel corso della vita.

E’ chiaro allora che maggiore è l’eterogeneità del gruppo, la ricchezza delle conoscenze portate, maggiore sarà, se si riesce a lavorare in modo coeso sul compito, l’articolazione e la varietà dello schema di riferimento gruppale.
Tutto ciò è necessario perché il gruppo possa comunicare con un linguaggio comune. Le persone potranno comunicare se danno lo stesso significato alle parole, ai concetti di cui hanno appreso il senso durante il processo gruppale, riuscendo a non sviluppare malintesi, distorsioni nella comunicazione.

Il gruppo è un altrove. Perché si crei un altrove è necessario uno straniamento, uno spaesamento che per esempio si crea costruendo uno spazio ad hoc per il gruppo, come dicevamo all’inizio relativamente al setting. Lo spazio deve essere qualcosa di un po’ diverso da quella che è la quotidianità, un altrove dove arriva l’informazione ed il gruppo la può “mangiare”, “digerirsela”. Questo altrove è uno spazio reale ma anche uno spazio interno, una zona intermedia libera e protetta (dal setting) in cui il gruppo può giocare con l’informazione, associare, portare liberamente idee, lasciarsi andare e contribuire ad un processo che nessuno, nemmeno il coordinatore, sa dove arriverà.

A mobilizzare gli schemi di riferimento del gruppo saranno le problematiche affrontate che mettono in discussione, creano conflitti, dubbi, apportano conoscenze. Ogni individuo, come abbiamo detto sopra, entra nel gruppo con la propria storia, il proprio schema. A livello grafico potremmo parlare di una dimensione verticale. La dimensione verticale di ciascun integrante si interseca con la realtà del gruppo, quello che avviene nel presente e che viene definita la dimensione orizzontale del gruppo. Oltre a queste due dimensioni c’è quella trasversale, rappresentata dagli avvenimenti istituzionali, storici, politici che accadono e che influenzano in modo significativo le altre due dimensioni e lo schema di riferimento del gruppo.

Possiamo per esempio dire che gli avvenimenti che abbiamo vissuto in questi tre mesi costituiscono parte della dimensione trasversale che influenzano il processo gruppale, lo schema di riferimento comune sia a livello cosciente che latente. La dimensione trasversale è importante, influenza profondamente le altre due, a volte consapevolmente, a volte in modo inconsapevole. Tenere conto degli aspetti istituzionali, sociali, globali è fondamentale per comprendere il processo gruppale e le influenze sullo schema di riferimento. Questo gruppo ad esempio non è quello di prima del Covid, le esperienze, conoscenze che ci hanno attraversato in questi mesi cambiano necessariamente l’ECRO.

Pensate, per esempio, che ansie avete provato rispetto all’utilizzo della modalità on line. Alcuni di voi magari erano già abituati, per altri sarà stato una novità assoluta che può aver prodotto rabbia, diffidenza, tristezza per le parti perse relativamente alle modalità dal vivo, confusione. Possiamo rifiutare completamente queste conoscenze che derivano dalla realtà odierna ed sperare di tornare a prima del Covid, oppure si può provare a integrare alcuni aspetti nuovi con le conoscenze che già avevamo, cercando di creare un nuovo schema che comprenda i nuovi concetti emersi.

Nel lavoro di gruppo emergono STEREOTIPI che sono delle modalità rigide di pensiero, modalità apprese che però sono diventate impermeabili all’esperienza e si riproducono sempre uguali. Possiamo dire che esistono stereotipi individuali, vali a dire quelli che ci portiamo dalla nostra esperienza di vita e con i quali entriamo in gruppo e stereotipi gruppali che devono essere superati se vogliamo produrre pensiero nuovo.

Vi faccio un esempio, per chiarire. In un lavoro fatto anni fa insieme al Dott. Montecchi all’interno di una comunità terapeutica per tossicodipendenti, abbiamo analizzato il materiale del gruppo per un periodo di un anno ed abbiamo ipotizzato che il lavoro sulla cura della propria tossicodipendenza si scontrava con la presenza di ostacoli importanti, in parte consapevoli ed in parte inconsapevoli. Un primo stereotipo era l’idea che ci fosse un destino per cui erano caduti nella tossicodipendenza, che ci fosse una forza più grande di loro che aveva prodotto la situazione in cui erano. Questo ostacolo era particolarmente ostico, perché allora riunirsi in gruppo, lavorare all’interno della comunità, sforzarsi di cambiare non aveva senso e lo stereotipo poteva costituire un alibi perfetto per lasciarsi andare e non produrre cambiamento. Un altro stereotipo era che sarebbero guariti se avessero incontrato l’amore. Essendo una comunità mista c’era la possibilità di innamorarsi, costituendo delle coppie. Questa modalità di pensiero, per cui la tossicodipendenza era dovuta ad una mancanza di affetto e che si sarebbe risolta incontrando la persona giusta, produceva in alcuni casi una resistenza al lavoro gruppale prima o una volta fidanzati, una chiusura in una dimensione a due che non permetteva apprendimento gruppale.

Il processo gruppale funziona se gli stereotipi possono diventare consapevoli e possono essere messi in discussione, schiudersi come uova e lasciare libero il pensiero. La forza del lavoro gruppale può permettere questa rottura. Lo descriviamo facendo riferimento a forze, pressioni, tensioni per ribadire l’idea che non è un processo innocuo, ma che, quando funziona produce un pensiero nuovo. Parliamo di un pensiero creativo, perturbante. Il concetto di perturbante, che viene da Freud, indica la possibilità di vedere qualcosa di non familiare, di estraneo nel conosciuto. Quello che può succedere nel processo gruppale è di rivedere con occhi nuovi concetti, conoscenze, esperienze conosciute. Il lavoro del gruppo produce un nuovo ordine simbolico, che può prendere le distanze dall’ordine simbolico dominante che ci attraversa culturalmente. Ci si riesce a distaccare dalle ripetizioni, quando le ripetizioni del fare si possono distanziare e ci appaiono perturbanti. Questo accade perché ci vediamo come da fuori ed assumiamo in questo la tematica del doppio. Proprio ieri in un gruppo un integrante diceva : “nel lockdown mi sono fermata, ho guardato quello che facevo e l’ho trovato assurdo”. Anche il lockdown è un altrove e allo stesso modo l’altrove del gruppo può portare alla presa di coscienza di certe routines, ripetizioni per poter produrre un immaginario gruppale nuovo.

Lo schema di riferimento deve essere uno strumento di lavoro, che si può applicare nel pratico e nell’operativo dal gruppo, che puè permettere alle persone di comunicare ed evitare malintesi. Vi porto un altro esempio, che proviene sempre dalla clinica. Un paziente psicotico che avevamo nel gruppo spesso parlava “del fenomeno” come la causa dei suoi mali. Nel lavoro gruppale il gruppo ha compreso quello che prima era un concetto
bizzarro e per certi versi incomprensibile: il “fenomeno” rappresentava una sorta di Dio, ma un Dio minore che invece di sostenere ed aiutare aveva prodotto una serie di sciagure, fra cui la morte del padre del paziente. A poco a poco il concetto di “fenomeno” ha iniziato a far parte dello schema di riferimento del gruppo, che lo utilizzava all’interno delle discussioni, appropriandosene. La modalità di comunicazione incomprensibile aveva lasciato il passo alla socializzazione del concetto che ha aperto il pensiero e che per il gruppo, e solo per quel gruppo con quello specifico processo gruppale, costituiva una parola di senso dell’ECRO gruppale.

Se il gruppo si apre al pensiero anche i ruoli si modificano nel senso che si mobilizzano, si arricchiscono le possibilità personali e producono comportamenti differenti. Nella lezione precedente vi era stato detto che spesso si entra in un gruppo di apprendimento con i propri ruoli istituzionali. Nel corso del lavoro di gruppo però le cose cambiano, emergono aspetti differenti, che connettono il cognitivo con l’affettivo, che dischiudono a modalità diverse di essere. Vi porto un’esperienza in un gruppo di apprendimento della non riuscita di questo processo. Un medico con molti anni di esperienza ha preso parte ad un corso di
formazione. Arrivava al corso sempre in giacca e portava la sua parte istituzionale, i casi clinici, la sua professionalità. Nel corso del tempo non è cambiato questo modo di porsi, non sono emerse altre parti della personalità, altri modi di essere. A livello simbolico notavamo che, mentre gli altri integranti si lasciavano andare, si rilassavano, mettevano a nudo alcune parti di sé, il medico teneva sempre la giacca, anche in estate. Questa ci è sembrata una forte resistenza alla possibilità di sperimentare parti differenti e di arricchire il proprio pensiero. La possibilità di passare da medico ad alunno, che avrebbe permesso il riaffiorare di ricordi del passato, di rivisitare il ruolo di alunno, di pensare ad altri aspetti non è potuto avvenire.

Un’altra situazione è rappresentata da gruppi di genitori e figli, nei quali per esempio all’inizio del processo un genitore si presenta come “sono il padre di Giulia”. Queste appartenenze generazionali danno il via all’emergere di stereotipi su noi-genitori e voi-figli, che è un momento naturale del gruppo ma che deve essere superato se vogliamo dar vita a qualcosa di nuovo. Quando un genitore inizia a pensare di essere stato anche figlio, come il ragazzo di fronte che sta parlando o fratello o amico, può mobilizzare alcune parti del suo Ecro e produrre pensiero nuovo, uscendo da una situazione stereotipata.

Per concludere, l’Ecro è uno strumento che il gruppo ha per poter lavorare poi nella pratica e produrre cambiamento. Questo è l’adattamento attivo alla realtà, la possibilità di intervenire sul reale, di non doverlo riprodurre tale e quale, di apportare qualcosa di nuovo. In questo senso il gruppo è una creatura viva, un soggetto e non un oggetto.
Nell’esperienza che stiamo facendo ora insieme per esempio la situazione di apprendimento è reciproca. Mentre voi ascoltate l’informazione e la elaborate nel corso del gruppo, noi apprendiamo dal vostro lavoro e ciò che producete può riversarsi sul dispositivo e produrre delle modifiche. E’ un processo circolare, o per meglio dire a spirale. Il gruppo in alcuni casi può costituire un aspetto istituente dell’istituzione, un motore di
cambiamento dell’istituzione stessa. Può essere una forza istituente che modifica l’istituito. Il gruppo apprende ed insegna, opera concreti cambiamenti nel reale.

Bibliografia
Bauleo, “Ideologia, gruppo e famiglia”
Bauleo e De Brasi, “Clinica gruppale, clinica istituzionale”, Il poligrafo
Marzotto, “I fondamenti della Concezione Operativa di Gruppo”, CLUEB Bologna
Montecchi, “Trasmissione e formazione”, on line
Montecchi, “Il gruppo operativo come produttore di ordine simbolico”, on line
Montecchi e Valeri, “Gruppi e istituzioni”, Areas 3 on line
Pichon Riviere, “Il processo gruppale”, Lauretana

This entry was posted in Lezioni. Bookmark the permalink.