Dipartimento di salute mentale di Jesi: storia della processualità del Servizio Riabilitativo Residenziale

L’ottica del dipartimento, nonostante rappresenti un passaggio fondamentale per le organizzazioni sanitarie deputate alla cura della salute mentale, non coincide con la somma dei servizi preesistenti, ma richiede un cambiamento radicale del modo in cui gli operatori si identificano in un’organizzazione che avendo allargato i suoi confini diviene più complessa.

L’integrazione è opera faticosa perché impone di ripensare alla propria pratica e talvolta di mettere in discussione quello che si riteneva un patrimonio consolidato, necessita di approcci e strumenti complessi volti ad un’unica funzione comune (prevenzione, diagnosi, contenimento, trattamento/cura , riabilitazione e promozione della salute mentale nel contesto territoriale di competenza) pur riconoscendo e mantenendo compiti specifici. Affinché il sistema funzioni, assolva il suo mandato, è necessario che le interazioni abbiano carattere di regolarità e siano in grado di fornire sufficienti informazioni ed input: solo l’interazione crea un’entità che è superiore, per funzioni e compiti, alla mera somma delle parti che lo compongono.

Il Dipartimento di salute mentale di Jesi è organizzato in strutture operative che garantiscono la continuità terapeutica e l’unitarietà degli interventi curativi e riabilitativi quali strutture ambulatoriali, di ricovero, residenziali, semiresidenziali e di promozione della salute mentale.

Il Servizio riabilitativo residenziale (SRR) è la struttura che offre una soluzione terapeutico/riabilitativa in regime residenziale a persone clinicamente stabilizzate per le quali si ravvisa la necessità di un contesto residenziale tutelato e per cui sia possibile individuare un obiettivo di miglioramento nell’ambito di un trattamento individualizzato e comunitario. La residenzialità jesina ha dieci posti letto che accoglie pazienti dotati di significative potenzialità evolutive che fanno supporre una evoluzione positiva nel rapporto terapeutico, tale struttura funziona come modulo familiare o comunitario, con presenza costante di operatori esperti nelle tecniche di riabilitazione, con i quali il paziente potrà costruire rapporti continuativi nel tempo.

L’altro aspetto della residenzialità è rappresentato da due gruppi appartamento istituzionali con caratteristiche di integrazione socio-sanitaria in cui gli operatori sono presenti per poche ore al giorno lasciando maggior spazio all’autonomia personale. E’ chiaro che la persona viene accompagnata gradualmente nel difficile compito della separazione per permettere “il salto” nella propria esistenza che per molto tempo è rimasta bloccata.

Strumento indispensabile e bussola del percorso riabilitativo è il progetto individualizzato di trattamento che non può che essere unico e quindi ancora più complesso in quanto non riconducibile a qualcosa di definito: esso va pensato in momenti di riflessione e condivisione tra professionisti così da muoversi in quello spazio dialettico tra il rispetto mediato dalla conoscenza della persona e dei suoi desideri e la necessità di stimolare-favorire il cambiamento.

Un altro ambito della riabilitazione del DSM di Jesi è la semiresidenzialità che comprende il centro diurno e progetto sollievo; il primo si è spostato dai locali dell’SRR, che lo ospitava impropriamente, a quello del progetto sollievo al fine di una migliore organizzazione delle funzioni e dei percorsi. E’ aperto 8 ore al giorno e dotato di personale educativo in convenzione con l’ASUR il quale partecipa anche ad alcune attività della residenzialità e si raccorda con il gruppo delle riabilitazione in riunioni d’équipe presso l’SRR.

Nel lavoro sulla complessità la riabilitazione ha vissuto momenti faticosi dove operatori si sono trovati in disaccordo delineando gruppi più piccoli in cui la separazione più evidente riguardava infermieri ed educatori, altri hanno perso la motivazione e la voglia di parlare e confrontarsi, altri hanno adottato la fuga per difendersi da un gruppo soffocante che non restituiva al singolo professionista quella parte che aveva dato. La sensazione era quella di una grande confusione che non permetteva di lavorare sul compito, da questo la necessità di fare due percorsi gruppali con il coordinamento del Dott.Mari che hanno restituito una maggiore consapevolezza.

Gruppo di lavoro residenzialità e semiresidenzialità ottobre 2007- aprile 2008

Coordinatore dott. Mari

Osservatore Maria Elena Peri

Partecipanti: operatori residenzialità e semiresidenzialità, 5 incontri da 1h e 30 min.

1° Gruppo – 31/10/2007

Disaccordo riguardo l’organizzazione delle visite domiciliari agli appartamenti.

Perché un gruppo di lavoro, tra l’altro molto stimato dal primario, non riesce ad accordarsi?

Si fa in modo che l’infermiere rimanga legato a funzioni custodialistiche e non di elaborazione gruppale, questo crea resistenze.

2° gruppo – 29/11/2007

Disposizione ad anfiteatro, c’è una grande aspettativa da questi incontri.

Difficoltà del gruppo ad utilizzare teorie operative comuni e condivise.

Revisione dell’organizzazione in ogni singolo appartamento.

3° gruppo – 19/02/2008

L’incontro è stato rinviato più volte forse per non affrontare il clima paranoico alto.

Confronto: difficoltà ad abbandonare le proprie posizioni.

Il gruppo necessita di una forte mediazione esterna tanto da far intervenire continuamente un elemento che non appartiene alla quotidianità operativa.

4° gruppo – 4/03/08

Non si inizia a lavorare senza la presenza del coordinatore (secondo gerarchia).

Resistenza propositiva, il gruppo non stabilisce un ordine del giorno.

Il gruppo partecipa in modo tacito senza accogliere e conoscere il pensiero dell’altro.

5° gruppo – 1/04/2008

Organizzazione e variazione visite domiciliari: il gruppo non dà risposte.

Il cambiamento genera ansia quindi si temporeggia per non agire.

Abbiamo intenzione di trovare accordi comuni o di rimanere nelle posizioni individuali?

Gruppo di lavoro residenzialità e semiresidenzialità maggio 2008 – novembre 2009

Coordinatore dott. Mari

Co-osservazione: infermiere (2 incontri non sono riportati causa ferie estive) educatore

Partecipanti: operatori residenzialità e semiresidenzialità, 6 incontri da 1h e 30 min.

date incontri

emergenti rilevati dall’infermiere

emergenti rilevati dall’educatore

27 maggio 2008

10 giugno 2008

24 giugno 2008

16 settembre 2008

21 ottobre 2008

26 novembre 2008

Stiamo andando verso la separazione delle due équipe, manca il raccordo soprattutto tra coordinatori.

assente

assente

Dividersi i compiti per non incontrarsi, confusione rispetto a leadership e ruolo istituzionale.

Non c’è rispetto della gerarchia, la caposala non è presente alle riunioni decisionali.

L’accordo di cambiamento organizzativo scontenta tutti nel gruppo.

Il gruppo non riesce a trovare un compito, si affronta il problema delle visite agli appartamenti.

Nasce la proposta di essere aiutati nella gestione delle visite domiciliari dal CSM territoriale.

Una parte degli integranti presenta una forte resistenza a prendere una posizione.

I due sottogruppi hanno deposto le armi e delegano il coordinatore alla sintesi finale.

Rabbia e confusione non permettono di venirsi incontro.

Il responsabile del servizio esprime le sue resistenze al cambiamento organizzativo (boicottaggio del progetto ).

La tabella in esame riporta la sintesi degli emergenti rilevati dall’infermiere e dall’educatore nel percorso di co-osservazione dei gruppi operativi.

Entrambi gli operatori fanno parte di due sottogruppi che manifestano difficoltà a scambiarsi informazioni e punti di vista e soprattutto a condividere obbiettivi istituzionali. Da questo la scelta di operare con due osservatori.

Il disaccordo emerge nella gestione del cambiamento organizzativo riguardo le visite domiciliari negli appartamenti protetti, luogo del percorso residenziale che sperimenta, nell’utente che lo abita, un maggior livello di autonomia e responsabilità.

Qual’è il compito istituzionale?

Credo riguardi la possibilità di aiutare i nostri utenti in questo passaggio doloroso in cui tentano il distacco dalla famiglia e dall’équipee curante. L’organizzazione ottimale sappiamo che non esiste, ciò che possiamo fare è utilizzare una strategia di intervento che preveda una tecnica condivisa (gruppi operativi istituzionali centrati sul compito), elaborare momenti di discussione sui casi clinici ( riunioni d’èquipe), supportare utenti e famiglie con gruppi multifamiliari, percorsi psicoterapici individuali, colloqui con lo psichiatra referente, supporto emotivo per un nuovo inserimento sociale e nelle attività pratiche di gestione quotidiana.

La precedente organizzazione non trovava più l’entusiasmo e la soddisfazione del gruppo in questo specialistico compito dell’accompagnare la persona in trattamento, questo ha sicuramente contribuito a rallentare e/o ostacolare la spinta che siamo chiamati a fornire causando una bassa occupazione dei posti letto in appartamento.

Il percorso istituzionale ha permesso di sciogliere diversi nodi della matassa sollevando aspetti importanti come quello della gerarchia che viene scavalcata dal compito a favore della competenza.

Sintesi di un percorso istituzionale

Svilupperò questa mia relazione- riflessione sul nostro percorso istituzionale che ha avuto inizio con un momento formativo dipartimentale della durata di due anni(2004-2006) proseguendo in percorsi di elaborazione del cambiamento per singole strategie operative. Il centro di salute mentale territoriale ha vissuto il passaggio della presa in carico dell’utente non più riferibile alla provenienza bensì al medico di medicina generale comportando una ridistribuzione dei carichi di lavoro con microequipee specialistiche e, soprattutto, un rapporto privilegiato che favorisce la relazione con la persona in trattamento. Il servizio psichiatrico ospedaliero ha osservato un treend delle contenzioni in diminuzione.

Per quanto concerne residenzialità e semiresidenzialità si sono stabiliti incontri periodici con operatori interessati per affrontare interrogativi che emergono dalla pratica clinica quotidiana con alcune nozioni teoriche di base (Bion, Pichon Riviere, Bauleo).

La tecnica approfondita nella formazione biennale per operatori della salute mentale (2004-2006) è stata la Concezione Operativa di Gruppo in cui l’aspetto centrale è l’emergente, esso ci dà la possibilità di mettere un interrogativo sulla relazione paziente, utente, gruppo familiare e operatori istituzionali.

Considerare il paziente emergente del gruppo familiare ci permette di analizzare, come operatori-osservatori, l’intreccio tra la verticalità (storia personale, aspetti affettivi, identificazioni) e orizzontalità (storia, miti, segreti, fantasmi, complicità). Questo incrocio va analizzato attraverso uno schema di riferimento di base triangolare: gruppo-coordinazione-compito.

La Concezione Operativa di gruppo è un metodo di conoscenza della realtà gruppale e allo stesso tempo un metodo di cambiamento della realtà secondo la massima materialistico dialettica per cui per conoscere la realtà bisogna trasformarla. Pichon Riviere la definisce come un’adozione di una epistemologia convergente perchè rende operative le diverse discipline nell’affrontare la convergenza su un compito comune. Quindi metodo elettivo per costruire équipee multidisciplinari che lavorano su nuovi casi.

E’ stato ed è ancora difficile per noi far entrare una metodologia operativa in grado di guidare gli operatori nella complessità della salute mentale.

L’attualità del gruppo operativo sta nel promuovere e creare “condizioni di possibilità” verso un cambiamento di organizzazione e una diversa modalità operativa centrata sul compito. Siamo consapevoli che colui che si è ammalato fa la richiesta, e l’équipee l’analisi della richiesta per arrivare alla domanda, che è latente.

Lavorare su un compito comune ci induce a rielaborare i nostri precedenti schemi di riferimento che non toccano solo le nostre professionalità e storie personali ma mettono in gioco anche aspetti cognitivi, affettivi, emozionali e la nostra intimità. Ecco perchè siamo tentati alla fuga, al non esserci.

I cambiamenti mobilizzano le nostre ansietà di base per questo è stato necessario uno spazio e un tempo definiti per cominciare ad elaborare insieme gli aspetti più indiscriminati e le ansietà e paure di base che si scatanano. Il gruppo nella sua interezza può sopportare momenti di disorganizzazione sia della personalità sia del cambiamento dell’organizzazione, l’elaborazione collettiva permette di distribuire il potere nei diversi ruoli. Ogni ruolo ha parte del potere e il sapere funziona se le parti si collegano tra loro. Abbiamo avuto modo di capire che collegando insieme le persone nasce un progetto di lavoro.

Nel primo emergente dell’anno 2007 c’è una richiesta di un leader duro, forse persecutorio verso i cattivi in modo da risolvere qualsiasi problema di incertezza. Alla fine degli incontri abbiamo appreso che il gruppo ha bisogno di rafforzare una tecnica ed elaborare uno schema di riferimento comune. Il coordinatore non è colui che scopre le verità nascoste ma apre il pensiero del gruppo a nuove soluzioni: il primario non dà la soluzione.

In realtà l’insegnamento universitario ha sempre formato figure che applichino delle conoscenze tecniche in situazioni predefinite, i famosi “tecnici addetti alla macchina” in cui il pensiero libero sembra essere un disturbo dell’apprendimento. E’ nel gruppo che si costruisce il senso della situazione, solo nell’interno del gruppo la situazione prende senso, il coordinatore è il piano del gruppo in cui si vedono e si interpretano gli emergenti nelle tre dimensioni della relazione vincolare: gruppo-compito, gruppo-mondo-esterno e integranti tra loro. L’osservatore può vedere una quarta dimensione che è quella relativa al gruppo-coordinatore.

Nasce l’idea che l’inquadramento crea resistenza.

Non si può parlare di gruppo se non si parla di una situazione in cui sono fissate alcune variabili e cioè il tempo, lo spazio, i ruoli e le loro funzioni e il compito.

Per osservare il movimento del gruppo queste variabili devono rimanere ferme, se manca la cornice non riusciamo a vedere il movimento che c’è dentro e che appartengono al processo del gruppo.

Gli operatori che non vogliono e non credono nell’importanza di questa cornice, dice il professor Bauleo, sono in realtà molto furbi, hanno capito prima degli altri che con questa modalità può esserci un cambiamento, pertanto si mettono “al sicuro” da subito. Possiamo altresì pensare che questi operatori rappresentano anche una certa soggettività della tradizione istituzionale da cui comunque non si può prescindere soprattutto nella costruzione dell’inquadramento.

Il compito convoca i gruppi operativi ricombinanti capaci di liberare l’immaginazione radicale e di produrre nuovi significati.

La gruppalità è uno stato di coscienza modificato che è dissociato dal senso comune della individualità assoluta.

Riflettendo insieme sulla organizzazione del lavoro, emerge una grande difficoltà a fare una scelta teorica.

La conoscenza e i concetti che devono essere appresi provocano angoscia tanto da far rifiutare il materiale d’insegnamento in quanto riattiva nuclei nevrotici della personalità( io non ho tempo di fare l’osservatore…).

L’analisi precoce e sistematica delle ansie paranoidi che intervengono nel gruppo (paura di rimanere rinchiusi dentro l’oggetto della conoscenza, timori di contaminazione e contagio) rende possibile una maggiore chiarezza del campo operativo e soprattutto evita la fobia verso il malato che si risolve in un costante evitamento.

La scelta teorica è difficile a definirsi perchè non essendoci un gruppo consolidato e abituato a lavorare su un compito, ogni membro porta avanti il suo schema di riferimento individuale. Nel campo manifesto non si riesce a dare una risposta alla organizzazione delle visite domiciliari territoriali, si sente la difficoltà a concludere il processo, il compito è troppo grande.

Termina il primo ciclo di incontri in cui, alla fine, si ritorna allo stesso emergente ma ad un livello diverso, più consapevole.

Nel 2008 il coordinatore del gruppo dott. Massimo Mari sollecita a lavorare ancora per alti 6 incontri perché il gruppo di lavoro era costituito ancora da forte conflittualità, scarsa partecipazione, clima emotivo dominato da ansia e rabbia che offuscano il pensiero. Questa volta la decisione è di inserire due osservatori appartenenti ai due sottogruppi spesso in lotta: inf. Roberto Petrini e ed. Federica Bordoni.

Sorge il problema del setting, è difficile definirlo e rispettarlo, molti integranti sono assenti, il coordinatore è in ritardo. Istituire un setting modifica il rapporto tra i professionisti in quanto finisce un rapporto familiaristico o conviviale complice dentro le istituzioni. Si producono effetti, molte volte inattesi.

Compare la nuova proposta: gestione dei gruppi appartamento con il centro di salute mentale territoriale.

Siamo nella situazione di pre-compito caratterizzato dall’uso di tutti i meccanismi di scissione e dalle tecniche della posizione schizoparanoide (divisione dei compiti per non incontrarsi, leader non riconosciuti ). Il precompito è un momento naturale del gruppo per poi abbandonare questa fase ed entrare nel cuore del compito, il rischio è l’ immobilizzazione per cui la fase si blocca e la produttività del gruppo è nulla.

Il coordinatore osserva la difficoltà ad entrare nel compito, la confusione non aiuta a sviluppare il compito per cui aiuta il gruppo sottolineando i concetti della riabilitazione (rinforzo epistemico).

L’équipe multidisciplinare. Costruire l’équipe implica un passaggio necessario che non si può dare per scontato, un raggruppamento di persone con differenti professionalità devono costituirsi in un gruppo di lavoro. E’ il metodo migliore per lavorare sulla complessità del campo di intervento e per riflettere sulla propria implicazione istituzionale.

Noi ci sentiamo in un gruppo di lavoro che funziona come un’équipee in un continuo imparare ed apprendere?

Emerge la necessità di una comunicazione esplicita per lavorare altrimenti si è bloccati.

Il coordinatore propone un gruppo di lavoro ristretto fra coordinatori dei percorsi istituzionali: CSM, SRR, CD e progetti riabilitativi. Questa enfasi alla competenza ha permesso un confronto diretto tra persone e ruoli che nella pratica abituale non c’era.

I coordinatori volevano lavorare individualmente o secondo preferenza, i livelli di ansia erano troppo elevati per incontrarsi.

Quando si parla esplicitamente di un compito non si parla solo del compito reale ma anche di quale sarà un possibile progetto di gruppo.

Nasce il progetto, i visi sono un pò tutti scontenti, il clima è depressivo ma si giunge ad un accordo.

Insegnare ed apprendere nell’ambito dei gruppi operativi significa condurre coloro che ne fanno parte all’assimilazione e all’uso appropriato degli strumenti di indagine.

Esiste una grande differenza tra sapere acumulato e quello utilizzato, il primo aliena mentre l’altro arricchisce sia il compito (obbiettivo da raggiungere) che l’essere umano.

Come trasformare gli operatori in strumenti di critica e di indagine su un aspetto della conoscenza? Bleger dice che “esiste un unico modo per riuscirvi ed è quello di trasformarli da ricettori passivi in co-autori di risultati ottenuti rendendoli consapevoli delle loro potenzialità in quanto esseri umani e mettendoli in condizione di servirsene”. Quindi possiamo affermare che l’apprendimento ha una sua tecnica ma si arricchisce, a sua volta, dei risultati della sua applicazione.

Come possiamo pensare di servirci del risultato ottenuto se all’interno di un processo gruppale istituzionale mancano più della metà degli autori?

In un gruppo il processo dialettico del pensare é spontaneo ma c’è da lavorare molto per eliminare i blocchi che ne impediscono il funzionamento.

Bibliografia

“Note di Psicologia e Psichiatria sociale” 1993 – Armando Bauleo.

“Psicoanalisi e gruppalità” 2000 – Armando Bauleo.

“Il processo gruppale” E. Pichon Rivière, edizione Lauretana.

“Esperienze nei gruppi” W.Bion.

“I fondamenti della concezione operativa di gruppo” M.Marzotto, A.Bauleo.

Corso di formazione biennio 2004-2006 Villa Salvati, Pianello Vallesina (AN)

anno 2004 ” Introduzione alle dinamiche dei gruppi primari e secondari”

Setting. La nozione di compito (Dr. De Berardinis)

Il colloquio psicologico (Dr. De Berardinis)

La relazione terapeutica (Prof. Bauleo)

Gruppo operativo: manifesto/latente- ansietà persecutorie, depressive, confusionali (Dr. Giusti)

La famiglia (Dr. Giusti)

Psicopatologia della famiglia – nozione di emergente (Dr. Montecchi)

La diagnosi gruppale – la questione della doppia diagnosi (Dr. Montecchi)

Lavoro di équipe (A. Bauleo)

anno 2005 “Istituzioni e Comunità”

Il concetto di istituzione e comunità(Prof. Bauleo)

La dinamica istituto/istituente(Dr. Montecchi)

La psicoterapia istituzionale (Dr. Montecchi)

La prevenzione come base per la riabilitazione e la terapia nelle istituzioni (De Berardinis)

La produzione comunitaria dei concettidi salute e malattia (De Berardinis)

Il lavoro di promozione della salute nelle scuole e nelle fabbriche (Dr. Giusti)

L’integrazione del diverso: il lavoro nella catastrofe naturale ed umana (Dr. Bernabucci/Ciuni)

Conclusioni del corso sugli emergenti di percorso (Prof. Bauleo)

Siti internet consultati

www.psycomedia.it/pm/training/seminari/bauleo.htm

www.psycomedia.it/pm/grpther/grppt/oper.htm

www.bleger.org

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