Per introdurre brevemente il percorso storico sociale ed economico che oggi ci porta a parlare di violenza istituzionale e violenza familiare pare opportuno ricordare il movimento delle donne nato negli ultimi decenni dell’Ottocento e nel primo ventennio del Novecento, ispirato a tesi liberali come richiesta di uguaglianza di diritti secondo la legge (voto, proprietà, accesso all’istruzione e alle libere professioni).
Il movimento conquisterà solo parte dei diritti richiesti, diritti che ancora oggi spesso si constata che sono solo sulla carta.
La tesi di fondo che distingue l’orientamento socialista da quello liberale sul problema dell’emancipazione e liberazione della donna è che,perchè le condizioni di subordinazione materiale delle donne e dei proletari cambino realmente, è necessario realizzare, tramite la rivoluzione, una società nella quale possano scomparire tutte le forme di subordinazione dei proletari (uomini e donne) rispetto ai capitalisti, delle donne rispetto agli uomini.
Tematiche relative alla condizione di subordinazione della donna sono presenti nel corso dell’Ottocento sia in teorici cosidetti “utopisti” (da Robert Owen a Charles Fourier) sia in donne impegnate nelle lotte operaie dalla metà del secolo in poi (Flora Tristan, le donne del ’48 parigino quelle della Comune del 1871).
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