Compito e gruppo II

Compito

Quando parliamo di situazione gruppale ci riferiamo a tre elementi strutturanti: coordinazione, organizzazione gruppale e compito.

Questa concezione è diversa da quella freudiana che è una concezione essenzialmente duale, dove gli elementi in gioco sono due: la massa e il leader.

Nel leader, che è esterno al gruppo, è depositato l’ideale dell’Io dei singoli individui, che, in questo modo, sono legati da un comune vincolo di “fratellanza”. Questa identificazione collettiva nel leader fa sì che si formi la massa.

Dalla concezione gruppale si possono ricavare alcune implicazioni:

  • il “padre” comune è in realtà “maternale” in quanto il rapporto con la massa è duale, diaidico, binario
  • Freud parla di “suggestione” a proposito del legame tra i membri del gruppo e il leader
  • Si può pensare al rapporto terapeutico nei termini di terapeuta/leader e paziente/massa

La nozione di compito struttura il “Terzo”

Bion e Pichon triangolarizzano la situazione gruppale, rendendola piu “edipica” mentre l’altra è più una situazione madre/bambino.

Dove va a finire il leader?

Introducendo la triangolarizzazione il problema si pone il problema è reale. Sia Bion che Pichon pongono il leader all’interno dell’organizzazione gruppale come elemento che dipende da momento a momento: Bion fa riferimento agli assunti di base a ciascuno dei quali corrisponde un leader diverso. Pichon dice che, a seconda della strutura che si da il gruppo e del movimento il leader cambia.

Quando il leader non cambia la situazione è patologica e si ha lo stereotipo.

Nella situazione triangolare gli elementi sono “funzioni” ‘è sono elementi “vuoti”, non dipendenti dalla persona (quando si parla di funzione paterna può trattarsi del compito, del coordinatore o della legge).

Riprendiamo il concetto di appartenenza e identità. Ho fatto a Madrid un corso di dottorato alla facoltà di psicologia e ho visto una tendenza diffusa, una specie di ECLETTICISMO (uno parla di una cosa e si dice ” ..e se uno la pensa così!…e se uno la pensa cosà?…)Mi chiedo: ma quando uno espone una teoria chi deve convincere? E’ un problema collegato all’identità.

Quando decido di lavorare con uno strumento so che questo ha una relazione parziale con l’oggetto, mai potrà prendere l’oggetto nella sua totalità, e meno male!.

Se uno pensa ad una cosa con un vertice psicoanalitico non può contemporaneamente dire “ma se io pensassi come un riflessologo?” io ti posso dire come la penso io se vuoi un altro modo cerca un altro.

Mi dicevano: “io voglio tanti schemi di riferimento così rispondo a seconda di come mi viene il paziente. Per imparare la psicoanalisi ci vogliono 20 anni, 15 anni per la riflessologia, 15 per il comportamentismo. Verso 80-85 anni mi troverò in condizione per vedere un paziente in accordo alla sua necessità. Nonostante tutto poi non sarà approfondito uno schema di riferimento.

Paghiamo con la superficialità quanti più schemi di riferimento stiamo utilizzando per osservare un determinato fenomeno.

Questa è una risposta al problema dell’identità. Non bisogna applicare dogmaticamente uno schema di riferimento ma quanto uno può sviluppare quella concezione.

(lo psicoanalista non può interpretare il cameriere quando va a mangiare, chiede primo e secondo!)

Il gruppo gioca a non avere un compito

Questo si interpreta come RESISTENZA a rimanere all’interno di un campo. (ad esempio il gruppo familiare che in realtà, istituzionalmente, ha molti compiti, non sa qual è il compito, per lo meno non è condiviso né affrontato. Questo necessiterenne di “storicizzazione” ‘è di comprendere la necessità di cambiare modello relazionale in relazione al cambiamento del compito

Il gruppo cambia continuamente compito

Anche questo ha a che vedere con la resistenza. Sto studiando un registratore, perché non una TV, allora seguo la TV, perché non la radio? Sono simili!

Il compito deve essere finito, almeno per quel gruppo, nei limiti che uno si dà dall’inizio.

Il compito entra nel setting.

Il tempo è stabilito non perché basta per risolvere il problema ma perché si è dato un “tempo possibile” per lavorare. Un compito potrebbe continuare tutta una vita perché potremmo avere nuove informazioni che ci fanno lavorare sul compito all’infinito.

Si dà un tempo possibile per elaborare un compito, sapendo che sempre resterà una parte del compito che non sarà vista.

Che succede quando cominciamo ad affrontare un compito per risolvere questo problema del gruppo interno?

Noi pensavamo che risolto questo noi finissimo anche il problema col gruppo interno ma in realtà con il gruppo interno non si finisce mai, la sola cosa possibile è trasformarlo, cambiarlo ma non è possibile eliminarlo.

Ci può essere la fantasia di finire un compito per sempre che è la stessa magica fantasia di finirla col gruppo interno.

La possibilità di passare per queste diverse appartenenze fanno sì che l’identità si arricchisca.

Noi approfondiamo l’identità attraverso diverse, continue appartenenze.

Il compito CONVOCA e PROVOCA.

Con questi termini intendiamo:

  • convoca: non solo perché questo raggruppamento diventa gruppo ma perché chiama alla questione il gruppo interno
  • provoca: indica quanto provocante sia un compito per stimolare il vincolo ovvero quante cose possiamo convocare sotto lo stesso richiamo.

Altri autori hanno dato un’altra definizione dicendo che il compito è TESTO e PRETESTO, nel senso che è il tema su cui argomentare ma pure pretesto per altre azioni. Non è solo un gioco di parole ma indica come un compito si trasforma in finalità ma pure è mezzo, strumento del rapporto interpersonale, di stimolazione del gruppo interno, di affettività che si mette in movimento.

Altra cosa che è stata detta è che il compito è METAFORICO:

Significa che è una metafora?

Metafora: sostituzione di un termine proprio con uno figurato in seguito ad una trasposizione simbolica di immagini (le spighe ondeggiano, il re della foresta) (Devoto-Oli)

Per molti la metafora sta al posto della condensazione.

Nel compito si condensano una serie di cose che posso produrre. Se vogliamo approfondire il rapporto gruppo-compito ci dobbiamo rifare all'”Interpretazione dei sogni” (Freud, 1900). Senza sapere bene questo non possiamo studiare i gruppi. Tutti abbiamo la fantasia di conoscerlo.

(c’è per esempio il ricordo di zio Josè… questa faccia – dice Freud- che non era la sua perché la barba apparteneva a una cosa, i capelli a un’altra…)

Si sta parlando di una cosa centrale nei gruppi, il problema dell’identificazione:

Com’è questo gruppo interno? Abbiamo identificazioni frammentate. L’identificazione non è mai completa, non è una fotografia.

Quando diciamo che il gruppo mette in movimento questo gruppo interno la cosa che esce è veramente una cosa simile al sogno.

Il sogno ha un compito?

Almeno due:

  • poter dormire
  • una realizzazione del desiderio infantile.

Da qui si comprende perché l’interpretazione dei sogni è la base per capire lo sviluppo gruppale.

Ne L’Interpretazione dei sogni, Freud parla anche del PARNASO (una montagna con personaggi messi a diversi livelli in accordo al tempo, al tipo dei rapporti ecc… Il Parnaso fa pensare molto al gruppo interno. Personaggi che a diversa altezza e in diversa maniera sono in rapporto con noi e che emergono ogni tanto nei sogni.

Tutto questo perché per fare un compito dovrei realizzare un desiderio.

C’è un problema di PROCESSO e di STRUTTURA.

Un’altra cosa che ci differenzia da altre tendenze è di riprendere una situazione che è per noi anche strutturale.

Quando parliamo del rapporto gruppo-compito parliamo di un tipo di struttura, di un rapporto tra elementi.

Struttura: intendiamo rapporto tra elementi che nulla ha a che fare con la forma, la gestalt che è la forma che gli elementi danno come risultante.

domanda: è per questo che a volte diciamo che un gruppo è troppo numeroso?

La relazione gruppo-compito è una relazione strutturale perché parliamo sempre di rapporti tra elementi.

Il difficile viene sul come integrare una concezione strutturale con una situazione processuale. Si pensa ad una situazione strutturale come ad un rapporto tra elementi ma il difficile è recuperare il problema storico vecchia discussione tra storicismo e struttura negli anni ’70).

Esiste un problema di linguaggio che si faccia carico dell’aspetto processuale (Wittgenstein, Pearls partendo dal pragmatismo hanno dato una nozione di movimento.)

Pichon usava la parola GESTALT-GESTALTUN per indicare una forma in movimento, una forma che si va formando perennemente.

Occorre un linguaggio che esprima il senso di come il gruppo produce questo compito.

Wittgestein parla si SIGNIFICATO e di USO nel senso che il significato nasce dall’utilizzazione che noi facciamo di esso.

Il compito si resignifica

Quando diciamo che “il compito si resignifica” diciamo che il compito acquisisce un altro significato malgrado tutte le difficoltà e tutto il percorso che fa il gruppo.

Domanda: dire che si resignifica vuol dire che è qualcosa di nuovo che viene fuori?

Quando dici ciò hai necessità di

  • una teoria della trasformazione (il famoso cambiamento catastrofico di Bion)
  • una teoria della resistenza al cambiamento

Sembra che il gruppo attraverso le relazioni interpersonali serva per pensare…che caos!…escono pensieri, si resignifica il compito, acquisisce per ciascun integrante e per il gruppo altri significati.

Entriamo nel campo della PRODUZIONE. In altri momenti non escono pensieri, escono azioni o modificazioni corporee come i sintomi. Allora ci chiediamo perché un gruppo che doveva resignificare il compiuto fa altre cose meno che quella?

Gruppi auto ed eterocentrati.

Detto in altre parole il gruppo non si dedica al compito ma si dedica a sé stesso, il gruppo diviene compito del gruppo. Qualche autore parla di gruppo autocentrato che è una definizione ridicola (ci dedichiamo a noi o agli altri?)

Se il gruppo si autocentra è o per risolvere qualcosa tra loro in relazione al compito o per fuggirlo: Se è completamento eterocentrato significa che loro non si prendono in considerazione.

Per noi il compito ha chiarito questo tipo di problematica tra gruppo auto ed eterocentrato.

Quest’ultimo è più una fantasia che una realtà.

domanda: si dice che eterocentrato sia un gruppo che lavora su questioni di lavoro, sui compiti da svolgere istituzionalmente e quello autocentrato per fare terapia…

Tutto a favore della scissione: L’affettività in un posto e il pensiero in un altro. L’opposto della nostra concezione.

Un compito non libidinizzato è un compito morto.

Vuol dire che nei due casi estremi mancherebbe la struttura, perché quando diciamo struttura dobbiamo intendere rapporto.

Non si dovrebbe parlare di compito ma del rapporto gruppo-compito perché la problematica è nel vincola. Di più, perché so che il compito senza gruppo non esiste così come non esiste gruppo senza compito.

Pichon arriva al concetto di compito perché nell’ambito ospedaliero osserva che nello svolgersi della quotidianità c’erano raggruppamenti diversi (pazienti con pazienti, infermieri con medici, medici con pazienti che costituivano un insieme raggruppato. Nel momento in cui dà da svolgere un compito (la formazione degli infermieri) si accorge che nello svolgimento di un compito da un insieme di persone si configurava un gruppo che permetteva un sentire, un pensare, un agire.

Questi momenti del SENTIRE, PENSARE e AGIRE organizzano qualsiasi compito.

Questa concettualizzazione Pichon-Rivière l’ha poi messa a punto proprio con Armando Bauleo nell’articolo del 1964 ,”La nozione di compito in psichiatria” (nel volume “il Processo gruppale-Lauretana).

Questi tre momenti, in un intergioco costante appaiono in qualsiasi situazione o compito che si propone la modificazione dei soggetti.

Corrispondono poi alle tre fasi che configurano lo svolgersi del compito:

compito_5

Pichon:

In termini di lavoro gruppale possiamo distinguere tre istanze:

  • il pre-compito, nel quale si pongono in gioco le tecniche difensive del gruppo mobilitate dalla resistenza al cambiamento e destinate a ritardare l’elaborazione delle ansie che funzionano da ostacolo epistemologico.

  • il compito, che consiste in un approccio in cui l’oggetto di conoscenza si rende penetrabile attraverso una elaborazione che implica la rotura della norma stereotipata che funziona come ristagno dell’apprendimento e deterioramento della comunicazione.

  • il progetto che nasce quando si è raggiunta l’appartenenza dei membri; si concretizza quindi in pianificazione

(Struttura di una scuola per psicologi sociali, 1969)

Nel precompito

appaiono le tecniche difensive che strutturano la resistenza al cambiamento (PER NON APPRENDERE IL COMPITO). Esse sono mobilitate dall’ansietà di attacco e perdita di situazioni precedenti. In precompito si osservano anche situazioni di dissociazione. Dissociazione di questi tre momenti (sentire, pensare, agire). In base a queste dissociazioni si formano parte dei meccanismi difensivi:

  • FALSO Sé cioè la simulazione
  • FALSO COMPITO che si manifesta con comportamenti parziali dissociati perché la parti vengono considerate come un tutto.
  • esistono altre difese come la negazione, il controllo onnipotente

Nel compito

arriva il momento in cui si possono elaborare queste ansietà di attacco e di perdita dell’oggetto e avviene con l’avvento di una posizione depressiva basica. L’oggetto scisso della conoscenza si fa penetrabile perché si rompono gli stereotipi. Il momento del compito è quello del processo di elaborazione dove si fa cosciente l’incosciente che implica un accenno di visione globale che si mettono in gioco davanti alla conoscenza. Compito del coordinatore è favorire l’integrazione di elementi dissociati. Dapprima si condividono i vari schemi di riferimento cercando una schema referenziale comune, poi si scatenano certi sentimenti e di seguito un aggiustamento percettivo degli integranti. E’ il momento dell’INSIGHT.

Questo permanentemente con altri momenti gruppali con altri compiti in un eterno processo di spirale dialettica.

Il vero problema che ostacola il compito è la paura basica di distruggere l’oggetto della conoscenza che ciascuno ha dentro di sé

Nel progetto

l’insight diventa azione. Si pensa a fare un’altra azione, nel senso mentalizzato per affrontare un’altra azione.

Questi momenti sono permanentemente in movimento e si ritrovano uno nell’altro.

Pichon dice:

“La tecnica di gruppo creata da noi, chiamata gruppi operativi, si caratterizza per essere centrata in forma esplicita su un compito che può essere l’apprendimento, la cura (in questo senso comprende i gruppi terapeutici ), la diagnosi delle difficoltà di una organizzazione imprenditoriale, la creazione pubblicitaria ecc. Sotto questo compito esplicito però se ne trova un altro implicito, che tende alla rottura, attraverso il chiarimento, delle norme stereotipate che ostacolano l’apprendimento e la comunicazione, costituendo un ostacolo per tutta la situazione di progresso e modificazione”

(da “Struttura di una scuola per psicologi sociali” (1969) in Il processo gruppale, Lauretana, 1985)

Il compito consiste quindi nell’elaborazione delle ansie di base, cioè la resistenza al cambiamento.

  • paura per la perdita (ansia depressiva)
  • paura dell’attacco (ansia paranoide) della nuova situazione, derivando quest’ultima da nuove strutture nelle quali il soggetto si sente insicuro per mancanza di strumenti.

perché non si possono osservare i rapporti tra i vari elementi. All’interno di un gruppo ciascuno è un elemento. Il nostro problema non è la quantità o la qualità ma chi è presente e come si relazionano tra loro.

GRUPPO INTERNO

“Questo insieme di relazioni interiorizzate in permanente interazione e sottoposte all’attività di meccanismi e tecniche difensive, costituisce il gruppo interno con le sue relazioni, contenuto della fantasia inconscia”(“Freud: punto di partenza della psicologia sociale”, 1965 in Pichon, Il processo gruppale).

E’ un SISTEMA APERTO.

Nota: I concetti centrali del presente lavoro sono stati elaborati dalle lezioni tenute da Armando J. Bauleo, Marta De Brasi, Raffaele Fischetti, Rodolfo Picciulin, Anna Sanchez, presso L’Istituto di Psicologia Sociale Analitica di Venezia nel 1991 e 1992.

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